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L'indagine

Truffe a Genova, tutti napoletani gli indagati

Complessivamente agivano ben 77 persone tra organizzatori, corrieri e operativi . I legami con la base di Aversa

Truffe a Genova, tutti napoletani gli indagati

La gang di truffatori napoletani che operavano a Genova aveva tre basi in Campania: due a Napoli, una all’Arenaccia e l’altra a Scampia, e l’ultima ad Aversa. Dai call center partivano le telefonate alle vittime e a organizzare il “lavoro” erano i due capi del gruppo: Antonio Fedele e Giuseppe Esposito, con i quali collaboravano in maniera stretta Giuseppe Cretella e Rosario Vittorio. Mentre la maggior parte dei 77 indagati (da ritenersi innocenti fino all’eventuale condanna definitiva), dei quali 22 finiti agli arresti in carcere, agiva sul territorio come corrieri operativi. L’organizzazione era imponente, ma un anno d’inchiesta è bastata per smantellarla. In particolare, coordinati dalla Procura ligure, hanno indagato i poliziotti della Squadra mobile genovese con la collaborazione nella fase esecutiva i colleghi di Napoli. I numeri dell’operazione si commentano da soli. L’organizzazione non faceva sconti a nessuna vittima, con i componenti pronti a sfinire al telefono le vittime, anziane e indifese, per portare via soldi e gioielli, ricordi di una vita. La banda dei truffatori è stata sgominata dalla Squadra mobile di Genova, coordinata dalla procura, in collaborazione con i colleghi di Napoli e altre città italiane. Sono 77 le misure cautelari: 22 in carcere e 55 obblighi di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria. Gli anziani raggirati sono 103, la più anziana ha appena compiuto 100 anni. Il bottino recuperato ammonta a un milione e 700 mila euro, tra soldi e gioielli, ma si stima che la cifra superi i due milioni. L’indagine è partita a giugno 2023 dopo la denuncia della prima vittima, una genovese a cui i truffatori avevano portato via 12 mila euro. Da lì gli investigatori sono risaliti a tutta l’organizzazione radicata tra Napoli e Caserta. Gli inquirenti hanno accertato che il gruppo era composto da telefonisti esperti, incaricati di raggirare le vittime, e da trasfertisti, addetti al ritiro del denaro e dei beni, spesso preziosi, sottratti agli anziani. Dalle indagini è emerso che i vertici della struttura, utilizzando appartamenti adibiti a call center, facevano tra le 600 e le 1200 chiamate giornaliere per ognuno (operando contestualmente in 4/5 nel ruolo di telefonisti) per poi utilizzare tra le 5 e le 7 pattuglie di operativi (addetti alla riscossione dei soldi dalle vittime) dislocate in svariate province italiane. L’organizzazione forniva persino, attraverso sodali intermediari dedicati a questo aspetto, supporto logistico ed assistenza legale in caso di intervento delle forze dell’ordine. Nel corso dell’indagine sono state arrestate 75 persone. Il modus operandi era sempre lo stesso: l’anziano di turno veniva contattato da un finto agente o carabiniere che chiedeva soldi per liberare il figlio che aveva causato un incidente. Drammatica la telefonata fatta a una coppia di anziani disposti a dare anche la medaglia d’oro che aveva ricevuto il figlio carabiniere ormai morto. Per fortuna quella medaglia non è stata trovata dai genitori, che così non l’hanno potuta consegnare. La base principale della holding si trovava in via Benedetto Cairoli, all’Arenaccia, mentre la succursale napoletana era tra Scampia e Piscinola. Nel Casertano invece le chiamate per raggirare gli anziani partivano da un appartamento nel cuore di Aversa. Tra gli indagati alcuni sono legati da rapporti di parentela: Antonio Fedele è il compagno di Noemi Esposito, figlia di Giuseppe Esposito; Cretella è figlio di Nunzia Esposito, sorella di Giuseppe. Luciano Treglia è fratello della madre di Fedele. A confermare il legame tra Napoli e Caserta è indicativa una conversazione intercettata: «Un ragazzo lì non lo tieni?...un altro per Napoli, perché non lo voglio mandare…l’ho usato per l’incidente».

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