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Clan Mallardo, pm all’attacco

Camorra e racket, chieste dodici condanne per la paranza del ras Biagio Micillo

Clan Mallardo, pm all’attacco

NAPOLI. Clan Mallardo, arrivano le richieste di condanna. Avevano chiesto di essere processati tutti col rito abbreviato i 14 imputati nel processo sul racket del clan Mallardo a Giugliano durante l’udienza preliminare celebrata davanti al gip Carla Bianco. Il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia ha chiesto le seguenti condanne: 9 anni di reclusione ciascuno per Davide Barbato, Domenico Di Nardo, Carmine Maione, Giulio Maisto, Antonio Mallardo, Antonio Russo e Biagio Vallefuoco; 12 anni di reclusione per Michele Di Nardo e Biagio Micillo; 10 anni e 6 mesi per Giuseppe Mele; 10 anni per Gennaro Maraniello e Domenico Chiariello.

L’indagine, che a novembre ha portato all’arresto di quattro indagati, ha messo in luce un articolato sistema di ruoli e responsabilità all’interno dell’organizzazione criminale, che si sarebbe occupata di estorsioni, gestione delle casse del clan, riscossione di debiti e intimidazioni ai danni di imprenditori locali. Dietro le sbarre erano finiti il boss Micillo, Domenico Chiariello, noto come “Mimmuccio”, nipote di Micillo, Giulio Maisto e Antonio Miraglia. Per quattro indagati non c’erano i gravi indizi di colpevolezza per l’applicazione della misura: Ciro Agalbato, Nicola Arena, Carmine Palumbo e Francesco Cesaro. Gli altri dieci indagati, invece, sono stati salvati da un cavillo giuridico.

Si tratta di Barbato, Michele e Domenico Di Nardo, Maione, Mallardo, Maraniello, Mele, Angelo Pirozzi, Antonio Russo e Biagio Vallefuoco. Loro hanno usufruito della cosiddetta “contestazione a catena”. Accade che il pubblico ministero chieda ed ottenga l’emissione di più ordinanze applicative della custodia cautelare nei confronti del medesimo imputato in relazione al medesimo fatto o a fatti comunque già noti dall’inizio all’autorità giudiziaria. Questo comportamento persegue lo scopo di spostare in avanti la durata della misura.

Per evitare questo fenomeno il Codice penale prevede un’apposita disciplina volta ad arginare tale prassi illegittima: se nei confronti del medesimo imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, anche se diversamente circostanziato o qualificato, “ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza” in relazione ai quali sussiste connessione qualificata limitatamente ai casi di reati commessi per eseguirne altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati alla imputazione più grave.

Questo è il caso di quest’inchiesta sul clan Mallardo, dunque per i dieci è stata rigettata la richiesta di applicazione di misura cautelare per avvenuta decorrenza dei termini di fase. Il processo è stato rinviato a maggio per la discussione degli avvocati difensori Leopoldo Perone, Michele Giametta, Luigi Poziello, Celestino Gentile, Mauro Zollo, Pasquale Daniele Delle Femmine, Alessandro Caserta, Marcello Severino, Gian Paolo Schettino e Dario Vannetiello.

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