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L'inchiesta

Festa scudetto e gommoni, la cosca voleva il monopolio

Il rampollo voleva coinvolgere anche un tiktoker nel business

Festa scudetto e gommoni, la cosca voleva il monopolio

Nei riquadri Fausto Frizziero, Francesco Frizziero, Salvatore Frizziero, Alvino Frizziero, Armando Mastroianni e Vincenzo Mastroianni

NAPOLI. Estorsioni a tappeto per tenere sotto scacco due interi quartieri. Con i gruppi Troncone e Frizziero ringalluzziti dall’indebolimento dei rispettivi rivali l’aria tra Fuorigrotta e Chiaia si era fatta assai pesante. I primi avevano imposto una raffica di estorsioni ai venditori di gadget del Napoli, puntando a piazzare in particolare una partita di 10mila trombette in vista della festa scudetto; i secondi miravano invece al turismo e alla gestione degli ormeggi di Mergellina.

Le circostanze emergono dalle 713 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare eseguita ieri mattina dai carabinieri. Il boss Vitale Troncone e il cognato Luigi Troncone, tramite una serie di minacce, tra il 2 e il 10 marzo 2023 avrebbero vietato a diversi ambulanti la libera vendita di articoli per i festeggiamenti del terzo scudetto nei pressi dello Stadio Maradona. Il duo, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbe poi provato a costringere i commercianti in questione ad acquistare e rivendere 10.000 trombette.

L’affare non sarebbe però poi andato in porto. Il clan con base tra via Costantino e via Leopardi voleva fare le cose in grande, come emerge da alcune intercettazioni. Il 2 marzo Luigi Troncone avrebbe avanzato una richiesta di pizzo perentoria: l’acquisto di 250 trombette a bancarella, sottolineando che il clan avrebbe potuto fare richieste ben più alte e che, invece, essendo una famiglia che «fa del bene», si sarebbe accontentato di una piccola fetta degli incassi.

Il diktat, secondo i piani di Luigi Troncone, sarebbe valso per tutti quelli che volevano aprire una bancarella, anche a costo di ricorrere all’uso di minacce e armi nel caso in cui qualcuno avesse provato a ribellarsi: «Parola d’onore, parola d’onore... se a me domani mattina... parola d’onore su... se mio cugino carnale viene e si vuole aprire la bancarella... io sai che faccio? Gli metto la pistulella dietro la schiena».

Nei giorni seguenti Vitale Troncone e Luigi Troncone vennero più volte intercettati mentre parlavano del business dei gadget. Dalle loro conversazioni emergeva poi che il clan era a conoscenza del numero esatto delle bancarelle “amiche”, in tutto 25, e che bisognava occuparsi delle strategie di vendita e, soprattutto, trovare un luogo dove custodire le trombette.

Il boss avrebbe quindi pensato di “appoggiarsi” al deposito di un famoso tiktoker di Fuorigrotta, noto venditore di gadget a loro vicino, in modo da esporsi il meno possibile e schivare eventuali accuse: «In questo modo io non compaio proprio». Dall’inchiesta emerge poi il salto di qualità compiuto proprio da Luigi Troncone, che aveva allargato il proprio raggio d’azione anche a nuovi business opachi.

Il cognato del boss è infatti indagato, in concorso con Dario La Rocca e Carmela Pizzuti, perché in qualità di proprietario avrebbe attribuito fittiziamente a Pizzuti, titolare dell’impresa “Nisida noleggio gommoni”, con l’intermediazione di La Rocca, la proprietà di tre gommoni.

Un’operazione che, sempre secondo la ricostruzione della Procura antimafia, avrebbe permesso all’emergente ras di eludere le misure patrimoniali in tema di contrabbando. Fausto, Mariano, Francesco, Salvatore e Alvino Frizziero, Armando e Vincenzo Mastroianni e Simona Milano, oltre a partecipare alle attività del clan, avrebbero gestito gli ormeggi abusivi di Mergellina.

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