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Fari puntati sull’ultimo reggente della Masseria

Dall’inchiesta emerge il ruolo chiave del ras Antonio Bruno “Michelò”: controllava quattro rioni

Fari puntati sull’ultimo reggente della Masseria

NAPOLI. Nell’inchiesta culminata negli arresti di ieri la figura centrale e di spicco, emersa dalle indagini dei poliziotti della sezione “Criminalità organizzata” della Squadra mobile e dei colleghi investigatori del commissariato Scampia, è quella di Antonio Bruno detto “Michelò”.

Il quale secondo la Procura antimafia non avrebbe solo ordinato l’omicidio di Gargiulo, ma avrebbe retto fino a ieri le sorti dell’articolazione del clan Licciardi con base al rione Don Guanella. Antonio Bruno, cognato di Pietro Licciardi per aver sposato una sorella della moglie, era libero e si muoveva tra Secondigliano e l’area flegrea.

“Michelò” aveva poteri decisionali sulle strategie criminali da adottare e curava i rapporti con le organizzazioni criminali alleate; controllava tutte le attività illecite sulla parte di territorio di competenza e provvedeva anche alla gestione della cassa comune e al mantenimento mensile degli affiliati liberi e detenuti.

Un profilo da uomo macchina e di fiducia da parte dei vertici della cosca, ancora una volta fotografata dall’inchiesta come particolarmente radicata a Secondigliano e zone limitrofe. Potendo contare, secondo gli inquirenti, su un gran numero di affiliati con ruoli definiti e responsabilità interne divisi in più sottogruppi: Rione Don Guanella, Masseria Cardone, Rione Berlingieri, Vasto.

Tra i destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare c’è anche Renato Esposito, che ha un legame di parentela con la famiglia Licciardi, al quale sono attribuite dalla Dda funzioni di direzione e organizzazione della Masseria Cardone. Complessivamente sono 31 gli indagati nell’ambito dell'indagine.

Tra le attività emerse anche il controllo sul mercato delle auto rubate, che venivano rivendute o restituite con il metodo del cavallo di ritorno, a fronte di “tariffe” che a seconda della tipologia e cilindrata del veicolo variavano tra i 500 ai 3000 euro. Il clan Licciardi è apparso quindi molto attivo sul fronte della gestione delle piazze di spaccio, pronto alla sostituzione in caso di arresti. Ma a differenza di altre organizzazioni criminali napoletane, particolarmente attenta e abbastanza rigida nel coinvolgere persone affidabili, come avviene tipicamente in organizzazioni mafiose. 

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