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Omicidio “vintage” a Bagnoli, “salvi” i figli del boss D’Ausilio

Delitto Marigliano, le indagini non erano state riaperte: nuovi atti inutilizzabil

Omicidio “vintage” a Bagnoli, “salvi” i figli del boss D’Ausilio

NAPOLI. La faida che a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila ha insanguinato le strade di Napoli Ovest si arricchisce, a causa di un “cavillo”, di un importante colpo di scena giudiziario. A lungo erano stati accusati di essere i killer di Giuseppe Marigliano, uomo dell’estinto clan Sorrentino-Sorprendente assassinato il 28 marzo 1999, ma la loro posizione era stata in seguito archiviata. L’inchiesta sul loro conto nel frattempo è però andata avanti. C’è un “però”: nonostante le rivelazioni del super pentito Vincenzo Alborino, le indagini sul loro conto, dopo l’archiviazione datata febbraio 2016, non erano mai state sottoposte a riapertura.

L’inchiesta che ha portato alla sbarra l’ex ras Felice D’Ausilio, oggi collaboratore di giustizia, e il fratello Michelangelo D’Ausilio si è così risolta in un nulla di fatto. Il giudice dell’udienza preliminare Linda Comella ha dunque sconfessato la linea della Dda di Napoli. In sede di requisitoria il pubblico ministero aveva chiesto 9 anni di reclusione per l’ex ras Felice e ben 16 anni per il fratello Michelangelo. La difesa, nel caso del secondo imputato rappresentata dal penalista Claudio Davino, aveva però eccepito il difetto della condizione di procedibilità, dovuto proprio alla mancata riapertura delle indagini, non autorizzata con un provvedimento formale del gip. A spuntarla è stata quindi proprio la tesi difensiva, tant’è che il gup, ravvisando «un vizio patologico che non può ritenersi sanato dal giudizio abbreviato», ha stabilito di «non doversi procedere» nei confronti dei due figli dello storico boss Domenico D’Ausilio, alias “Mimì ’o sfregiato”.

Gli atti indagine da cui sarebbe emerso il loro presunto coinvolgimento nel grave fatto di sangue non erano di conseguenza utilizzabili. Sia Felice che Michelangelo D’Ausilio per questa vicenda erano stati arrestati alcuni fa, il provvedimento era stato poi revocato, tant’è che per il delitto Marigliano erano adesso imputati entrambi a piede libero. La morte violenta di Giuseppe Marigliano era maturata nell’ambito della faida che ormai quasi trent’anni fa vide contrapporsi i clan D’Ausilio e Sorrentino-Sorprendente, entrambi pronti a tutto pur di conquistare il monopolio degli affari criminali nell’area flegrea. Quella che ne scaturì, il 28 marzo 1999, fu un’esecuzione in piena regola.

Stando alla ricostruzione della Procura, la vittima venne intercettata mentre si trovava al volante della propria auto. Il commando sarebbe stato invece composto da Felice D’Ausilio, ritenuto l’esecutore materiale del delitto, e dal fratello Michelangelo, che avrebbe guidato lo scooter con cui Marigliano venne inseguito e poi ucciso. Centrato da tre colpi di pistola, l’uomo del clan Sorrentino-Sorprendente non ebbe alcuna possibilità di scampo. Per il delitto finirono sotto inchiesta anche Gennaro Bitonto e Vincenzo Alborino, la posizione dei due D’Ausilio fu invece archiviata nel 2016. La mancata riapertura delle indagini nei termini fissati dalla legge si prefigura ora come la pietra tombale sull’inchiesta.

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