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Camorra
19 Maggio 2025 - 08:11
Nel riquadro il presunto boss Mauro Franzese, 55 anni, conosciuti negli ambienti criminali come “Maruzziell”
NAPOLI. Le accuse di ben otto collaboratori di giustizia non sono bastate ad accertare, almeno fin qui, il suo coinvolgimento negli affari criminali del nuovo clan Moccia e in particolare nella costola capeggiata dal ras Mauro Franzese, alias “Maruzziell”.
Il tribunale del Riesame, chiamato a un doppio pronunciamento, ha prima escluso per Salvatore Iorio l’accusa di associazione camorristica, poi ha cancellato anche l’aggravante della “mafiosità” in merito a un episodio di spaccio di stupefacenti e così, decorsi ormai i termini di custodia cautelare, ecco che per il presunto affiliato ai Moccia di sono riaperte le porte del carcere. Questa volta, però, verso l’esterno.
A spuntarla è stata la linea portata avanti dal difensore di Iorio, l’avvocato Dario Carmine Procentese, riuscito prima a ottenere l’annullamento, da parte del Riesame, dell’accusa di camorra. In seguito la Cassazione aveva dato un’altra picconata all’inchiesta stabilendo che l’aggravante dell’articolo 7 per un’accusa di spaccio doveva essere “rivista”. Indicazione puntualmente recepita dal giudici della Libertà, chiamati a un nuovo verdetto dopo il rinvio.
A questo punto, scaduti ormai i termini cautelari, il giudice per le indagini preliminari ha accolto l’istanza del penalista Procentese, disponendo scarcerazione di “Totore ’o siciliano”. La retata è scattata a dicembre al termine dell’attività di indagine che nei precedenti dodici mesi ha visto impegnati i poliziotti della Squadra mobile, coordinati dai sostituti Ilaria Sasso del Verme e Giorgia De Ponte e dall’aggiunto Sergio Ferrigno.
Dalla lettura delle 174 pagine del decreto di fermo si apprendeva che il capo indiscusso dell’organizzazione sarebbe stato il boss Franzese, referente del clan Moccia nel territorio di Casoria. La cosca, a partire da gennaio 2024, avrebbe messo in atto una strategia criminale serratissima finalizzata ad acquisire il controllo egemonico del territorio «attraverso l’imposizione di tangenti estorsive a imprenditori edili, commercianti e altri operatori economici».
Per raggiungere lo scopo il clan non avrebbe disdegnato il ricorso a minacce, danneggiamenti e attentati dinamitardi. Del ponte di comando, secondo la ricostruzione della Dda, avrebbero fatto parte anche Salvatore Barbato, Jonathan Piglia e Salvatore Ambrosio, attivi soprattutto nella gestione dello smercio di droga e nell’imposizione del racket. I tre indagati, in concorso con Vincenzo Rullo, avrebbero organizzato una serie di summit per programmare i raid, effettuando anche sopralluoghi finalizzati all’individuazione delle attività da taglieggiare.
Salvatore Iorio si sarebbe invece occupato prevalentemente di droga e di organizzare alcuni incontri con i clan rivali, «anche al fine di attuare ritorsioni nei loro confronti». Insomma, ci sarebbero stati tutti i presupposti per dare il via a una nuova faida di camorra alle porte di Napoli. Tra i tentativi di estorsione contestati, ce n’è uno assai preoccupante: il taglieggiamento ai danni della ditta Sepem.
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