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il processo
21 Maggio 2025 - 08:31
NAPOLI. Nessuna tangente e nessun “favore”, ma solo «una fraterna amicizia». Accusato di aver organizzato e diretto un sistema corruttivo al quale avrebbero preso parte, tra il 2015 e il 2019, dieci pubblici ufficiali, l’imprenditore Luigi Scavone, ex patron del colosso del lavoro interinale Alma, decide di respingere con fermezza ogni addebito. Il manager è stato chiamato a deporre ieri mattina nell’udienza celebrata nel dibattimento che lo vede imputato insieme ai finanzieri Alfonso Mattiello e Rosario Brilla, al poliziotto marittimo Vincenzo Abate e al militare della guardia costiera Vincenzo Vitiello. Secondo la ricostruzione della Procura, Scavone avrebbe elargito una lunga serie di “regalia”, soprattutto a favore di alcuni militari in servizio all’aeroporto di Capodichino, al fine di garantirsi un occhio di riguardo per evitare controlli fiscali e valutari in occasione dei suoi viaggi, ma anche informazioni coperte da segreto investigativo.
Accuse pesanti come un macigno, che un paio di anni fa, dopo il pronunciamento con cui la Cassazione che aveva sconfessato la linea del Riesame, gli erano costate gli arresti domiciliari. Scavone, difeso dal professore Alfonso Furgiuele e dall’avvocato Fabio Carbonelli, è però pronto a dimostrare la propria innocenza, come dimostrato dal tenore delle dichiarazioni rese ieri mattina innanzi alla terza sezione penale del tribunale di Napoli presieduta da Amalia Primavera. Rispondendo alle domande del pm Pavia, l’imprenditore ha ripercorso le tappe di una scalata sociale apparsa a lungo inarrestabile: «Per anni sono stato anch’io un poliziotto, poi ho deciso di fare impresa con Alma e il mio tenore di vita è cambiato drasticamente. In poco tempo sono passato dal guadagnare 1.500 euro al mese a fatturare 3 milioni di euro all’anno».
Riferendosi ai rapporti con il finanziere Mattiello, difeso dagli avvocati Roberto Saccomanno e Andrea Mariconda, Scavone ha precisato: «I regali che gli ho fatto possono sembrare importanti, ma vanno commisurati ai guadagni che facevo in quel periodo. È tutta una questione di proporzioni. Quando andavo in aeroporto portavo dei “pensieri”, ma erano solo gesti di amicizia, in cambio non ho mai ottenuto nulla, tantomeno favori come saltare la fila senza passare dai controlli, che tra l’altro facevo regolarmente con il personale della Gesac. Da Mattiello, un caro amico che conosco e frequento da anni, non ho mai avuto alcunché e il Rolex di cui si parla nell’indagine non era un mio regalo, ma solo un prestito che gli avevo fatto per andare a un matrimonio».
Di tutt’altro tenore la linea della Procura. Gli inquirenti ipotizzano, sulla scorta di decine di intercettazioni e successive ammissioni, che Luigi Scavone, tra il 2015 e il 2019, abbia assoldato oltre dieci pubblici ufficiali, quasi tutti militari della guardia di finanza in servizio a Napoli, che si sarebbero “messi a disposizione” garantendogli la mancanza di controlli fiscali e valutari, oltre a informazioni di natura investigativa. Agli atti dell’inchiesta c’erano anche le dichiarazioni accusatorie rese da Francesco Barbarino, fedelissimo di Scavone e anch’egli manager di Alma, il quale il 28 ottobre 2020 aveva rivelato: «Ho preso in diverse occasioni l’aereo da Capodichino in compagnia di Scavone, in almeno un’occasione si trattava del suo aereo privato. In queste occasioni venivamo trattati come se fossimo polizia giudiziaria, infatti due finanzieri venivano sempre a scortare Scavone», aggiungendo che «Scavone aveva al massimo un controllo blando come quello descritto per il mio bagaglio, anche perché se la vicinanza con Scavone faceva sì che non controllassero me, di certo simile accortezza era riservata anche a lui che era il “capo”. Non era lui “amico” dei finanzieri, ma erano i finanzieri “amici” suoi». Il processo riprenderà il mese prossimo, quando a essere esaminati saranno gli altri imputati: Abate, difeso da Danilo Laurino; Vitiello, difeso da Antonio De Marco e Luigi Senese; e Maione.
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