Cerca

I nostri figli fragili

Scardicchio: «Non temete di "attraversare il bosco"»

La professoressa dell'Ateneo di Bari: «Troppa violenza richiede uno sforzo per "riconnetterci"». Incontro sul Tempo dell'Apocalisse: come educare alla vita

Scardicchio: «Non temere di "attraversare il bosco"»

La professoressa Antonia Chiara Scardicchio e il vescovo Francesco Alfano

CASTELLAMMARE DI STABIA. Le favole di Pollicino e di Cappuccetto Rosso rappresentano un'allegoria ormai quasi in disuso. Troppo traumatizzante per i piccoli la rappresentazione di bambini in pericolo, in un luogo sconosciuto e che innesca i sentimenti di abbandono, privazione, paura, assenza... Ma è sempre giusto tenere in una realtà e persino fantasia ovattata gli adulti del futuro?

A queste e a molte altre domande ha risposto ieri sera la professoressa Antonio Chiara Scardicchio, docente universitaria  di Pedagogia generale e sociale dell'Ateneo di Bari, durante l'incontro-dialogo ieri sera nella Chiesa San Marco Evangelista di Castellammare di Stabia. L'esperta è stata accolta dall'arcivescovo di Sorrento-Castellammare di Stabia, monsignor Francesco Alfano, e dal parroco don Franco De Pasquale, gratificati da un'affluenza record di educatori e gente comune interessati al tema "Il Tempo dell'Apocalisse e del Cantico dei Cantici: educare alla fede e alla vita nel tempo delle fragilità".

Esperienze che non toccano solo i genitori e gli educatori, ma ogni persona nelle diverse fasi della vita sono state introdotte, analizzate - con aneddoti, argomenti scientifici, storie personale e di cronaca calate in uno sguardo di fede - e portate verso una possibile soluzione, praticabile ad ogni età e in ogni contesto. Il concetto di mindfulness è infine il traguardo verso cui la professoressa Scardicchio ha condotto tutti i presenti al termine di due ore di dialogo.

IL BOSCO E I TELEFONINI. Dall'allegoria del "bosco" nelle fiabe è partita la pedagogista per spiegare che si può cominciare dalla rappresentazione delle angosce nascoste nell'animo umano per "allenare" i bambini ad affrontarle e a superarle con serenità. «Il bosco non va evitato, ma attraversato. Siamo stati tutti e saremo sempre obbligati ad affrontare e farci attraversare dalle sofferenze. Non lo possiamo evitare, ma possiamo imparare a uscirne rinnovati» ha cominciato Scardicchio che ha quindi introdotto anche argomenti relativi alla "distorsione" ormai da tutti maturata rispetto alla percezione del tempo. Un'anomalia del vivere umano subentrata con l'utilizzo intensivo dei telefonini costantemente connessi con la nostra quotidianità.

IL TEMPO. «La messaggistica incessante con cui ci rapportiamo attraverso i cellulari  - ha spiegato la prof - ha ridotto le nostre capacità di attesa e decisionali. È stato scientificamente provato che il danno scaturito dalla velocità di questo strumento tecnologico e l'eccesso di informazioni con cui veniamo costantemente bombardati, non importa se con messaggi positivi o negativi, innescano uno stato di allarme che inconsapevolmente ci fa agire come se ci trovassimo in una situazione di emergenza». Inoltre, ricevere dall'ambiente che ci circonda la rassicurazione che tutto si può controllare, evitando ansia e sofferenza (genitori troppo accondiscendenti per eccesso d'amore, ambiente e attività molto confortevoli) induce il nostro organismo a "ridurre" la corteccia cerebrale, quella cioè deputata a mettere in funzione meccanismi di razionalizzazione, in grado di definire risposte appropriate quando occorre darne. Il "cervello rettiliano", anche chiamato "cervello primitivo" è invece la parte più antica e meno sviluppata del cervello umano, secondo la teoria del cervello tripartito di Paul MacLean. È questo ciò che prelude agli impulsi, responsabile delle funzioni vitali, degli istinti di sopravvivenza e dei comportamenti automatici. «Utilissimo quando ad esempio, mi sfugge il bambino per correre in mezzo alla strada - ha spiegato la pedagogista - In quel caso, senza ragionarci sopra, io scatto in velocità e afferro il piccolo sottraendolo al pericolo». 

MESSAGGI E STRESS EMOTIVO. Ma cosa accade se questa parte del nostro cervello in seguito alla ricezione continua di messaggi che riceviamo dal cellulare? «Va in stress e percepisce la situazione come "emergenza" - spiega la docente universitaria - Finiamo tutti per reagire in maniera irrazionale. Ad esempio: un'amica mi messaggia dicendo che nella ricetta del tiramisù vanno usati 200 grammi di zucchero. Io le rispondo: no, ne metterei 180. Mi risponde con un secondo messaggio in cui insiste: dico che ne vanno 200 grammi. E io replico: niente affatto, la mia famiglia da generazioni ne mette 180. Alle reiterazioni su chat, la mia reazione è: ti possano uccidere... Reazione spropositata. Accade perché quella conversazione ha spostato la percezione dal razionale al personale: "vediamo chi sei tu e chi sono io". Sarebbe bastato contare fino a dieci, prima di rispondere. Però ora noi siamo talmente abituati, modificati geneticamente, dall'uso e dai tempi del cellulare, che quando la risposta al nostro messaggio non arriva immediata il nostro stato d'animo va in allarme. Si pensa: "Non sono abbastanza considerata, non sono amata"...». Non sono esagerazioni. Le reazioni emotive sono esasperate e ne vediamo le conseguenze sui titoli dei quotidiani.

NON ERO IO. «Quando accade un crimine e si chiede all'autore o autrice "perché lo hai fatto?", ci si sente spesso rispondere "Non lo so, non ero io"- ha riflettuto la docente di pedagogia - Una volta io rispondevo: "È troppo facile". Ma oggi sappiamo scientificamente che, purtroppo, chi agisce con efferatezza e in modo insensato davvero in quel momento non è in sé. Non sa rendere conto delle proprie azioni, semplicemente perché è totalmente disconnesso dalla parte del proprio cervello che attiene alla propria coscienza». Questo è un altro aberrante effetto della fusione totale della propria attività cerebrale con quella tecnologica dei device, proprio per tutto quanto la professoressa universitaria ha spiegato rispetto all'azione dei messaggi e delle relazioni umane mediate dal cellulare, anziché dalla disciplina delle nostre reazioni emotive: all'agire "di pancia", o meglio, con il cervello primitivo che ha preso il sopravvento sulla coscienza che ha sede nella ridotta corteccia cerebrale.

MINDFULNESS. Contare fino a dieci. «Ho riflettuto tre mesi prima di prendere una decisione importante che riguardava la scuola e mio figlio, laddove tutti mi consigliavano di fare in un determinato modo - ha raccontato la dottoressa Scardicchio - Perché per le decisioni importanti vale la pena prendere tempo. Ma bisogna apprendere ad avere su se stessi il controllo del tempo. Dare tutto e subito ai propri figli per proteggerli dalle frustrazioni impedisce loro di imparare ad agire con mindfulness. I cellulari, pc, tablet concorrono ad alimentare questa distorsione comportamentale. Aumenta il disagio, i ragazzi non capiscono più cosa avvertono: non sanno definire le proprie sofferenze, tristezze, e finiscono per avere paura. Vivono di paure».

BAMBINI DAVANTI AL CELLULARE. «Sono piccolissimi, di pochi mesi e, se piangono perché hanno caldo, freddo sete, i genitori li tranquillizzano mettendogli davanti agli occhi un cellulare che fa scorrere immagini rasserenanti - spiega Antonia Chiara Scardicchio - I genitori non sanno che se il bimbo non piange più, pur avendo ancora i suoi disagi fisici, è perché con il cellulare viene stimolata la dopamina, un ormone chiamato "della felicità". Il nostro organismo lo produce per farci stare bene, ma regolandola nella giusta quantità per non danneggiarci. Nei momenti non opportuni, però, la dopamina "anestetizza" gli stimoli sani e agisce come una droga: il nostro fisico ne richiede sempre di più, va in crisi se il dosaggio è basso. Soffriamo. Una mamma non percepisce il cellulare come droga, altrimenti non lo darebbe mai al proprio figlio. Quindi non sa di agire come fa uno spacciatore: più il bimbo ne chiede e più gliene dà».

IL FIORETTO. «Un tempo si usava offrire "un fioretto" alla Madonna. Nel mese di maggio ci si impegnava a una piccola rinuncia come gesto d'amore a Maria. Io sono golosa di Nutella e tutt'ora prometto di non mangiarla per 30 giorni. Quel barattolo "mi chiama" ed io gli rispondo: "ci vediamo a giugno" - ha simpaticamente raccontato la professoressa Scardicchio - Ma poi, alla Madonna cosa cambia se io non mangio la Nutella per un mese? Niente. E, invece, cambia moltissimo per me. Infatti, mi allena a rinunciare a qualcosa di gradevole e immediato per stare in un "progetto più grande". Ecco come agisce. Da giovane, all'Università, quando si doveva dare un esame - per esempio - tra due mesi, si prendeva il libro, per suddividerne le pagine in modo da studiarne una trentina o più al giorno... Ma, poteva accadere che un'amica mi chiamasse per accompagnarla a una passeggiata. Chiudevo il libro concedendomela e programmando 60 pagine il giorno dopo. Ma il giorno dopo poteva accadere che l'amica mi chiamasse disperata perché l'aveva lasciata il fidanzato. Era mia amica, non potevo abbandonarla: le pagine passavano a 90. E se il giorno dopo ero io quella lasciata, mi giustificavo a rinviare i miei studi che prevedevano in un giorno 120 pagine da studiare... Avevo perso il controllo sulla realtà che prevedeva un impegno quotidiano inquadrato in un "progetto più grande"».

I NOSTRI BISOGNI, LA POVERTA'. «Perché l'uomo finora è riuscito a non estinguersi? - è stata la domanda della pedagogista - Scientificamente, è stato spiegato, succede che quando l'uomo vive delle privazioni, sviluppa di più la corteccia cerebrale. Lì dove il cervello suscita la capacità di innovarci, e dove deposita il dono del ricordare. Avete fatto caso che nessuno riesce più a ricordare i numeri di telefono? Ci siamo adattati ad affidare la nostra memoria ai cellulari e piano piano stiamo perdendo l'abilità di ricordare. Alle volte pensiamo che Gesù Cristo che consigliava la povertà lo facesse in modo ideologico, spingendoci a comportamenti di disagio fini a se stessi. Ebbene, oggi è la scienza a spiegarci che nello stato di privazione, di povertà, miglioriamo le nostre prestazioni e ci evolviamo».

LE FERITE E I TALENTI. C'è dunque un atteggiamento positivo che dovremmo imparare ed insegnare ai giovani a sviluppare rispetto alle ferite della vita, cuore degli argomenti trattati nella serata dalla professoressa Scardicchio, "Educare alla fede e alla vita nel tempo delle fragilità". La docente di Pedagogia è partita dalla parabola dei talenti. «Abbiamo sempre giudicato i talenti come opportunità, valori, comodità che il Signore offre a ciascuno e dei quali, poi, al termine dalla vita terrena, chiede conto su quanto questi abbiano fruttato - ha detto la docente universitaria - Bene, ho fatto una riflessione partendo dalle "ferite" che, alla luce di quanto detto poc'anzi sono da considerare "feritoie" attraverso le quali si riesce a guardare di più e meglio su come e dove portare a termine la nostra "vocazione". Sono questi, dunque, i nostri talenti. Se le nostre "avversità, sofferenze, fallimenti, umiliazioni, bastonate della vita e anche bassezze da noi commesse" li seppelliamo guardandoli sempre e solo come disgrazie ingiuste, accadute quando il Signore era voltato dall'altra parte, questi momenti di caduta della vita resteranno infruttuosi. Dobbiamo trattare le peggiori esperienze vissute come "talenti", porgendole a Dio durante il sacrificio sull'altare perché è da lì che dobbiamo ripartire. Non congelarci nella contemplazione del male o di ciò che ci fa male. Ma accogliendo la sofferenza, attraversando il bosco con dolore, certo, ma con fede e guardando oltre. È così che i talenti-ferite daranno frutto».

LA NONNA, L'ETERNITA', 'A TAZZULELLA 'E CAFE'. «Mia nonna aveva moltissimi nipoti. E quando ero bambina osservavo la processione di loro tutti che a turno venivano a raccontarle le proprie vicissitudini della vita - ha raccontato la professoressa - Lei non aveva istruzione, ma molta saggezza. Ascoltava e, a ognuno dava la stessa risposta: "Queste sono cose che succedono ai vivi". E poi: "Avrai tutta l'Eternità per gioire". Diamoci tempo, dunque, e assaporiamo ogni momento che viviamo, senza banalizzare nulla. Anche quando beviamo una tazzina di caffè, facciamolo con consapevolezza. Gustiamola, dandoci e insegnando a gustare ogni goccia della nostra vita». Mindfulness.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori