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Il caso
05 Giugno 2025 - 17:35
Stefano Addeo
Stefano Addeo non cerca attenuanti. Non si difende. Non prova a riscrivere quello che ha scritto. Quel post, pubblicato e rimosso poche ore dopo, ha segnato la sua vita, la sua carriera, la sua salute. Ha lasciato una cicatrice. Ma oggi, prosegue il suo percorso pubblico di responsabilità, e prova a dire che no, non è tutto da buttare.
«Ho commesso un errore enorme. Ne porto il peso, umano e professionale. Ma se posso fare qualcosa perché quel gesto non sia stato del tutto inutile, sono pronto».
Il professore sospeso dall’insegnamento dopo le frasi su Giorgia Meloni e sua figlia rilancia ora – attraverso il “Roma" – una proposta civile: incontrare gli studenti, entrare nelle scuole – non da docente, ma da testimone – per parlare di linguaggio, responsabilità e odio digitale.
«Mi offro per un ciclo di incontri gratuiti – dice – per raccontare ai ragazzi cosa significa cedere alla rabbia, sbagliare, rovinarsi con una frase. Non voglio giustificazioni. Voglio solo spiegare cosa succede quando si attraversa quel confine. E soprattutto come non attraversarlo mai».
Le sue parole non cancellano il passato. Ma lo assumono. E lo rilanciano in una direzione che sorprende: quella dell’educazione.
«Un professore – dice Addeo – non è solo un lavoratore. È un esempio. Anche quando sbaglia. E proprio perché ha sbagliato, deve mostrarsi. Senza maschere. Senza clamore. Io lo farò se qualcuno mi darà questa possibilità».
Il suo è un linguaggio severo. Misurato. Lontano dal vittimismo. E pieno di contraddizioni vissute, di ferite vere.
«Ho le mie idee politiche, ma come rifiuto la censura delle grandi piattaforme contro ogni pensiero dissidente e credo nella libertà di espressione, allo stesso modo oggi dico con chiarezza che gli odiatori seriali sui social sbagliano gravemente. L’odio disumanizza. Chi lo riceve, certo. Ma anche chi lo pronuncia. Io l’ho imparato nel modo più duro. E ora voglio raccontarlo».
Infine, il passaggio che riapre il senso del suo appello: l’incontro con Giorgia Meloni. Un incontro che non sarebbe un gesto politico, né un perdono chiesto in ginocchio. Sarebbe, piuttosto, un momento civile, umano, forse simbolico. Ma non per questo meno reale.
«Se la presidente del Consiglio vorrà incontrarmi, anche per pochi minuti sarà per me un incontro da essere umano a essere umano. Le chiederei di guardarmi negli occhi, e ascoltare. E se deciderà di non farlo, lo accetterò con rispetto. Ma se una sua parola potrà aiutarmi a rimettere insieme anche solo una parte della mia vita, io le sarò grato. Per sempre».
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