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20 Giugno 2025 - 09:28
“Il mare non bagna Napoli” scriveva provocatoriamente negli anni ’50 Anna Maria Ortese per sottolineare malesseri, diseguaglianze e condizioni di emarginazione nel periodo della ricostruzione post-bellica. E tutt’oggi il mare può ancora, simbolicamente, esprimere segnali di stridente contraddizione in un momento storico della nostra città orientato verso un incoraggiante rinascimento. Sicuramente è un elemento naturale che impreziosisce ed abbellisce l’immagine di Napoli, ma non è purtroppo alla portata di tutti. Per quanto paradossale possa sembrare, la nostra città, pur essendo affacciata su uno dei golfi più belli del mondo, non dà ai suoi abitanti e a chi la visita la possibilità di accedere agevolmente a questa risorsa. È una città di mare anomala, dove lo specchio d’acqua dinnanzi alla sua costa è semplice da ammirare e contemplare, ma arduo da vivere fisicamente, essendo il suo accesso difficoltoso, spesso proibitivo, quando non del tutto negato (e non sempre per ragioni di inquinamento).
Le distese sabbiose sono limitate e là dove possono contare su ampie estensioni, come Bagnoli, devono, però, fare i conti con programmi di bonifica ancora da completare che non consentono la balneabilità di quello scorcio di litorale. Gli arenili in cui, invece, i tuffi sono consentiti (da via Caracciolo a Posillipo per intenderci) sono però poco capienti e, peraltro, fortemente ridimensionati dalla presenza di concessionari privati che limitano di fatto l’uso pubblico di un bene collettivo. Buone notizie provengono fortunatamente da oriente con il recupero della balneabilità a San Giovanni e Pietrarsa. Il recente dibattito sulla possibilità di installare piattaforme di legno lungo la scogliera di via Caracciolo ha dimostrato quanto sia difficile trovare soluzioni praticabili: la Sovrintendenza ha bocciato il progetto per motivi paesaggistici, lasciando la questione in un limbo che ha il sapore della rassegnazione.
Eppure, il problema è urgente, come dimostrano le polemiche esplose attorno alla giusta decisione della Prefettura di introdurre il numero chiuso per l’accesso ad alcune spiagge, al fine di scongiurare i recenti e preoccupanti episodi di sovraffollamento fuori controllo registrati, per esempio, a ridosso di Palazzo Donn’Anna con conseguente cumulo di rifiuti abbandonati e furti di vario genere. In queste condizioni, appellarsi alla mera responsabilità individuale non è sufficiente. Quando la domanda supera ampiamente l’offerta, l’autoregolamentazione diventa un’illusione e le misure restrittive, per quanto impopolari, diventano inevitabili. D’altronde il numero chiuso non è una novità nel panorama nazionale, essendo già stato adottato in molte località balneari italiane proprio per proteggere ambienti fragili e scenari mozzafiato dall’overtourism e dall’inciviltà diffusa.
La vera ingiustizia, semmai, è che a Napoli l’accesso al mare sia spesso condizionato da un pedaggio salato, imposto da stabilimenti privati che offrono sì servizi – docce, bagni, assistenza – ma a prezzi tali da escludere ampie fasce della popolazione. Ed è proprio in questo squilibrio che si annida il rischio più grande: trasformare il mare in un bene di lusso, un privilegio per pochi anziché un diritto per tutti. Questo tema diventa ancora più cruciale alla luce dell’assegnazione a Napoli dell’edizione 2027 dell’America’s Cup.
Un evento sportivo internazionale di tale portata non può essere solo una vetrina: deve diventare l’occasione non solo per accelerare i programmi di bonifica e riqualificazione di Bagnoli, ma anche per definire un progetto di ampio respiro volto a rendere la città finalmente balneabile e accogliente per i turisti ed i suoi abitanti, con sufficienti spazi liberi e dotati di servizi essenziali (bagni, docce, pulizia, sorveglianza e assistenza sanitaria). Napoli ha l’occasione – e il dovere – di riconciliarsi con il suo mare. Un bene pubblico non può essere appannaggio di pochi, né ostaggio di ritardi e incuria. Serve, perciò, una visione politica lungimirante, capace di bilanciare diritti e doveri, servizi e accessibilità, tutela del paesaggio e fruizione popolare. Perché in una città di mare dove fare il bagno è proibitivo, qualcosa non torna. E quel qualcosa va rimosso.
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