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Il caso
29 Giugno 2025 - 15:41
PRATO. «Un sistema carcerario in crisi profonda, permeato da illegalità diffusa, corruzione e traffici illeciti», con una gestione ritenuta «fuori controllo«: è quanto emerge dalle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Prato, guidata dal procuratore Luca Tescaroli, che, dopo mesi di attività investigativa, ha fatto luce su uno scenario a tratti surreale all’interno della casa circondariale “La Dogaia” di Prato.
La maxi-inchiesta ha avuto una svolta con una vasta operazione di polizia all’interno del carcere, che ha portato alla scoperta di telefoni cellulari e droga nelle celle. Avviata nel luglio 2024, l’indagine ha richiesto mesi di lavoro investigativo accurato, condotto con riservatezza per evitare fughe di notizie all’interno di un ambiente già segnato da forti criticità. I risultati sono stati eclatanti.
Oltre 260 agenti della Polizia Penitenziaria e delle forze dell'ordine - tra cui Gom, Nucleo Investigativo Regionale, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato e Prefettura - hanno dato esecuzione a un’operazione massiccia all'interno della struttura carceraria, con perquisizioni mirate nei reparti di Alta e Media Sicurezza, dove sono reclusi anche detenuti per reati di stampo mafioso e traffico internazionale di stupefacenti.
Sotto la lente degli inquirenti sono finiti 127 detenuti, di cui 27 indagati formalmente: 14 dell’area Alta Sicurezza e 13 della sezione Media Sicurezza. Gli altri, pur non essendo stati ancora raggiunti da provvedimenti giudiziari, risultano aver beneficiato di un sistema di favori, tra telefonini, droga e libertà di movimento non compatibili con la loro pericolosità sociale.
Dalle indagini, condotte anche con l’ausilio di unità cinofile e tecnologie di rilevamento, è emersa una routine di illegalità consolidata: all’interno del carcere si trovavano smartphone di ultima generazione, microtelefoni, smartwatch, sim card intestate a prestanome e router wi-fi, nascosti nei modi più fantasiosi: all’interno di frigoriferi, pentole modificate, sanitari smontati, cartelline a doppio fondo, pareti intonacate di fresco e persino nella cavità anale dei detenuti.
Gli accertamenti si sono concentrati in particolare sul reparto '“alta sicurezza”, dove ci sono detenuti anche per associazione di tipo mafioso. A loro, i dispositivi sarebbero arrivati per posta, tramite personale della polizia penitenziaria a fronte dell’erogazione di un compenso nell’ordine di alcune migliaia di euro e anche con l’opera di persone provenienti di Napoli che hanno lanciato dei palloni con dentro smartphone e cellulari nel perimetro del carcere, o mediante fionde.
Quattro agenti della polizia penitenziaria sono formalmente indagati per corruzione: avrebbero facilitato l’ingresso di telefoni e droga in cambio di denaro. I sospetti si estendono anche ad altri quattro agenti e personale addetto alle pulizie, con i quali avrebbero avuto «rapporti anomali» non compatibili con la funzione di garanzia dell’ordine e della sicurezza. «Una prigione senza controllo - ha dichiarato il procuratore Tescaroli - in cui la sicurezza passiva non è garantita, gli scanner non funzionano, gli ispettori e sovrintendenti mancano in organico per quasi il 50%, la dirigenza cambia continuamente e manca una catena di comando affidabile».
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