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CAMORRA
01 Luglio 2025 - 09:05
Nei riquadri la vittima Giulio Giaccio e gli imcti di spicco del clan Polverino
NAPOLI. La linea della Procura passa solo in parte e per uno dei due mandanti dell’omicidio dell’innocente Giulio Giacco arriva un’inattesa riduzione di pena.
Il colpo di scena si è consumato ieri mattina con la sentenza pronunciata dalla Corte di assise di appello di Napoli, quinta sezione, che non ha riconosciuto la sussistenza dell’aggravante mafiosa nella sentenza di secondo grado sull’omicidio di Giulio Giaccio, il giovane operaio ucciso e poi sciolto nell’acido il 30 luglio del 2000, a soli 26 anni, perché scambiato per l’amante della sorella di un ras del clan Polverino.
Salvatore Cammarota è stato condannato a 16 anni (gli è stata concessa l’attenuante equivalente in relazione a un’offerta da lui fatta alla famiglia); pena a 30 anni di carcere confermata per Carlo Nappi mentre è stata ridotta quella inflitta al pentito Roberto Perrone, al quale sono stati comminati 8 anni (riconosciuto il concorso anomalo).
In primo grado i primi due erano stati condannati a 30 anni di carcere ciascuno, mentre il terzo imputato, colui che ha rivelato la storia dando slancio alle indagini, a 14 anni. Cammarota, che voleva vedere morto l’amante della sorella, per ben due volte ha offerto inutilmente un risarcimento alla famiglia Giaccio, l’ultima delle quale pari a circa 200mila euro. La prima volta venne offerta una casa, nell’ultima istanza la stessa abitazione con un’aggiunta di 80mila euro.
«È una vergogna, questa non è giustizia, equivale ad ammettere che a Napoli non c’è stata e non c’è la camorra», il commento duro dell’avvocato Alessandro Motta, legale della famiglia di Giulio Giaccio.
«Secondo i giudici - aggiunge il penalista Motta - l’omicidio di Giulio Giaccio non è un delitto di camorra, né per modalità, né per finalità. Confidiamo nel ricorso in Cassazione annunciato dalla Procura Generale che, da sempre, ha sostenuto i diritti di Giulio e dei familiari». La famiglia, fa sapere ancora l’avvocato Alessandro Motta, non esclude una manifestazione pubblica di protesta contro questa decisione dei giudici partenopei.
Al termine della requisitoria anche il sostituto procuratore generale Paola Correra aveva chiesto che venisse riconosciuta l’aggravante mafiosa. Giaccio venne sequestrato da finti poliziotti nei pressi della sua abitazione, nel quartiere Pianura. Era in compagnia di un amico e fu proprio lui a riferire l’accaduto ai familiari di Giaccio i quali, il giorno dopo, presentarono denuncia dopo avere capito che non erano state le forze dell’ordine a prelevare Giulio.
L’amico riferì agli investigatori la dinamica del rapimento di Giulio, prelevato con la forza dai finti poliziotti malgrado avesse negato più volte di chiamarsi Salvatore, come invece sostenevano e ripetevano i rapitori. Il sostituto procuratore generale aveva così chiesto la conferma delle condanne di primo grado a due dei tre imputati e una riduzione per colui che aveva raccontato la vera storia di Giaccio. Il magistrato aveva chiesto il riconoscimento dell’attenuante prevista per i collaboratori di giustizia.
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