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L'indagine

Omicidio-suicidio, caso chiuso

Dramma familiare a Pizzofalcone, escluso che tra i due fratelli ci fossero attriti

Omicidio-suicidio, caso chiuso

NAPOLI. Nessun attrito, mai litigi nemmeno per sciocchezze in tanti anni. La storia dei due fratelli Poce, l’ex guardia giurata Raffaele e l’ex sagrestano Francesco, è una storia di affetto e di disperazione. Finché il più piccolo, sposato, è stato bene in salute “Franco” ha ricevuto un sostegno continuo. Sia economico ma soprattutto fattivo: era il più piccolo ad assisterlo quando l’età e gli acciacchi del più grande si sono fatti sentire.

Abitando vicino, gli portava la colazione, il pranzo e la cena, gli faceva compagnia. Poi un tarlo si è incuneato nella mente del vigilante in pensione: «Quando non ci sarò più, lui come farà?», pensava e rimuginava. Cosicché quando ha scoperto di avere una malattia grave, il 76enne ha preso la decisione più dolorosa della sua vita: uccidere il congiunto e poi spararsi, sapendo già di non poter resistere in vita con il rimorso. Ha esploso i due colpi di pistola alla schiena dell’80enne proprio perché non ha avuto il coraggio di guardarlo in faccia in quel momento.

Per chiudere il caso e attribuire ufficialmente l’omicidio a Raffaele Pone bisogna attenere l’esito della comparazione tra le impronte digitali riscontrate sulla pistola e quelle del presunto colpevole. Gli accertamenti ovviamente sono stati compiuti anche su Raffaele e a tutt’ due è stato praticato lo Stube. Ma nessun investigatore del commissariato San Ferdinando (guidato dal dirigente Emilio Basile) e dell’Ufficio prevenzione generale della questura si aspetta sorprese dai rilievi della Scientifica.

“Franco” viveva in uno scantinato di vico Santo Spirito di Palazzo 34, tra i Quartieri Spagnoli e Pizzofalcone, senza gas di città, corrente elettrica e riscaldamento in un disordine indescrivibile, al minimo delle condizioni igieniche, in un ambiente insalubre e senza alcun confort. Ma non aveva una patologia precisa.

A prendersene cura era il fratello ex guardia giurata. Che però, raccontano i vicini, in tempi recenti avrebbe scoperto di essere stato aggredito di nuovo da una malattia che aveva combattuto e vinto in passato. «Forse è proprio per questo che l’ha fatto, perché temeva di non potere più aiutare il fratello», è il pensiero di molti in vico Santo Spirito, nella parte bassa dei Quartieri, vicino a piazza Carolina e a piazza del Plebiscito. Per un residente in zona, che parlava davanti alle telecamere delle televisioni private, «è stata una tragedia annunciata».

Ma prevenirla sarebbe stato impossibile. I corpi di Raffaele Poce e Francesco Poce ora sono nell’obitorio del policlinico per l’autopsia. Ad accorgersi della tragedia è stata la moglie di Raffaele l’altro ieri mattina. Aveva visto uscire il marito, ma quando ha notato che dal cassetto mancava la pistola (regolarmente detenuta) ha capito tutto e si è precipitata nella cantinola adibita a casa dell’anziano cognato. Troppo tardi ormai: i due erano già a terra, entrambi privi di vita, a poca distanza l’uno dall’altro. Uniti come in vita, ma con quel metro a separarli come a indicare la parte finale di una storia d’affetto e di disperazione.

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