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10 Luglio 2025 - 12:23
Uno degli interrogativi che si ripropone ogni volta che si discute del diritto alla casa è sicuramente quello sul significato e sul senso di giustizia. E questo perché, molto spesso, è dall’esito di una decisione dei magistrati che dipende il futuro, se non addirittura l’esistenza, di un nucleo familiare. Non mi riferisco soltanto alle sentenze che hanno innescato e continuano ad alimentare qui in Campania il dramma della “roulette degli abbattimenti”, ma, più in generale, a criteri di giudizio che, in troppe occasioni, paiono colpire con forza persone deboli, mentre addirittura giustificano alcuni comportamenti criminali, come capita per i cosiddetti “ladri di case”, gente che occupa, in maniera completamente abusiva, non soltanto appartamenti del patrimonio pubblico ma spesso di privati, quanto indifesi, cittadini. Non voglio certo scomodare re Salomone e il suo metodo di risolvere le dispute, ma piuttosto riflettere sull’essenza della giustizia, su quello che ognuno di noi si aspetterebbe nel sentire pronunciato quel termine che vale la pena ricordarlo trae origine dal latino “iustus”, giusto, e cioè conforme alla morale e alla legge. Insomma, ci aspetteremmo un solo tipo di giustizia, quella giusta. Appunto. Purtroppo però non è sempre così: la giustizia, troppo spesso, continua ad avere due facce.
E lo hanno imparato, a loro spese, sulla propria pelle, anche i tantissimi campani che nel corso degli anni hanno dovuto fare i conti con decisioni che si sono rivelate lontane anche dal buon senso, nelle quali, mi dispiace doverlo scrivere, quel principio assoluto e altissimo che sta alla base della tutela dei diritti di ogni cittadino e della stessa democrazia sembra essere del tutto assente. Per dirla con una frase del grande drammaturgo tedesco Bertolt Brecht, di rado abbiamo potuto esclamare che “esiste dunque un giudice a Berlino!”. Vado a memoria, ma, a fronte dei tantissimi casi che ho seguito istituzionalmente, sempre con tanta sofferenza, sono davvero pochi gli epiloghi positivi e quello più significativo resta quello relativo alla sentenza emessa da un giudice del Tribunale di Napoli che, lo scorso anno, ha revocato l’ordine di abbattimento per un palazzo di 24 appartamenti, distribuiti su sette piani, a Casoria.
Sapete a quanti anni di distanza dal regolare rilascio del condono da parte del Comune, la Procura aveva ritenuto che quella sanatoria per un edificio realizzato nel 1992 da un costruttore svelto e disinvolto non fosse legittima? Quasi 30, un periodo lunghissimo di tempo, durante il quale quelle persone hanno pagato regolarmente le tasse comunali, hanno affrontato ingenti sacrifici e spese per acquistare una casa che per il Comune che aveva rilasciato il condono, per la banca che aveva concesso il mutuo, per il notaio che aveva redatto l’atto di acquisto e per lo stesso Stato che aveva incassato tasse e imposte su quella proprietà, era perfettamente legale. All’improvviso, però, queste persone hanno rischiato di perdere tutto e finire per strada, da un giorno all’altro, insieme a figli piccoli, persone anziane, soggetti fragili.
A loro, alla fine, è andata bene, anche se soltanto per ora, perché la stessa Procura ha ritenuto di impugnare quella decisione e quindi queste persone restano in attesa che un altro giudice decida delle loro vite, valutando la conformità o meno ad occhiuti formalismi di un provvedimento di condono rilasciato decenni prima. Quel che è certo, intanto, è che moltissimi sono già vittima, a volte per molto meno, dell’altra faccia della giustizia, quella ingiusta. E si sono visti buttare giù la casa dopo decenni o attendono, ormai sconfitti, solo l’arrivo delle ruspe a demolire l’abitazione in cui spesso hanno vissuto da sempre. Qualcuno dirà che la legge è legge e va rispettata e fatta rispettare.
Quant’è facile essere d’accordo con questa espressione del buon senso. Quanto però questa stessa frase suona falsa in vicende in cui di buon senso non v’è traccia. Ecco perché non possiamo restare indifferenti davanti a situazioni tragiche, favorite da una burocrazia, anche giudiziaria, del tutto ottusa, determinata a fare il suo corso a qualsiasi costo, al di là delle conseguenze, anche nel nome dei cavilli e di interpretazioni altrettanto soggettive di leggi contorte. Anche perché in questi casi non si parla mai di palazzinari che si sono riempiti le tasche tirando su, in serie, strade intere di palazzoni abusivi, o di chi ha costruito case in aree tutelate da vincoli paesaggistici o esposte a rischi idrogeologici. Anzi, le statistiche ci consegnano un’altra verità, a dir poco agghiacciante: le difese processuali puntuali, unite alla capacità di infilare granelli di sabbia negli ingranaggi di un sistema giudiziario farraginoso da parte di chi ne sa vedere le enormi lacune, hanno fatto sì che proprio coloro che dovrebbero essere i primi destinatari di inflessibili provvedimenti si trovino, quando va bene, in fondo alla pila dei fascicoli giudiziari da esaminare. Invece, le vittime, le vere vittime, sono le tantissime famiglie perbene che pagano per tutti le conseguenze delle storture di un sistema che, soprattutto in regioni come la Campania, ha dato vita a un vortice da cui non si riesce a uscire. Per decenni, i Comuni a cui queste persone si sono rivolte chiedendo indicazioni per mettersi in regola, sono stati incapaci di aggiornare i loro piani regolatori e, di conseguenza, non hanno rilasciato alcuna licenza edilizia.
E interroghiamoci pure su come sia stato possibile per le organizzazioni criminali costruire, tra Napoli e provincia, negli anni a cavallo tra il 1970 e il 1990, enormi complessi residenziali o realizzare addirittura interi quartieri, senza che nessuno rappresentanti delle Istituzioni locali, tecnici comunali, forze dell’ordine e magistrati si sia accorto di nulla o abbia fermato l’illegalità. E poi, quando, a distanza anche di mezzo secolo, hanno “scoperto” che quelle strutture non dovevano essere realizzate, e che quindi ora devono essere demolite, hanno colpito non chi ha compiuto l’illecito, ma i malcapitati che, in assoluta buonafede, avevano avuto la sventura di acquistare quegli appartamenti. Vi pare che questa sia giustizia? A me no. La giustizia è quella che va garantita a chi ha subìto un torto, che si compie anche attraverso il contrasto, continuo e costante, nei confronti di chi occupa abusivamente la casa di un’altra persona. La giustizia è fatta di indagini e di operazioni di polizia finalizzate a liberare il territorio dalla malavita, come accaduto di recente a Ponticelli. Qui un clan, approfittando pure dell’immobilismo complice e dei silenzi della sinistra oltre che del bisogno di un alloggio da parte di persone disperate, ha potuto gestire, per decenni, il “racket delle assegnazioni”, impossessandosi di locali di proprietà comunale e imponendo, in quella porzione di quartiere, la legge dell’anti Stato.
Di fronte a questo quadro desolante permettetemi di dire che sono orgoglioso del fatto che il passo decisivo per aggredire un sistema che, in alcune aree del Nostro Posto, va avanti da oltre un quarantennio, è stato compiuto dal Governo nazionale, su spinta fondamentale della Lega e del vicepremier Matteo Salvini. Prima di allora, nessuno si era posto il problema. Come nessuno in Regione, primi tra tutti De Luca e il Pd, si era mai posto la necessità di garantire il diritto alla casa ai campani. Non dimentichiamo che l’emergenza abitativa riguarda da vicino decine e decine di migliaia di famiglie a cui bisogna dare immediate risposte se si vuole evitare che esploda una bomba sociale. Ecco perché noi, contestualmente alla battaglia di civiltà che stiamo combattendo da tempo, sia in Consiglio regionale che in Parlamento, per fermare gli abbattimenti indiscriminati di abitazioni gravate dai cosiddetti abusi di necessità, riteniamo che uno dei primi atti per l’autentica svolta rispetto al decennale malgoverno del Nostro Posto debba essere un grande Piano per l’edilizia residenziale pubblica in Campania. Lo attueremo tra pochi mesi, quando torneremo alla guida di Palazzo Santa Lucia.
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