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13 Luglio 2025 - 10:03
L'avvocato Gennaro De Falco
NAPOLI. Un innocente in carcere, una vita rovinata, la salute a pezzi, per poi dopo mesi o anni di reclusione sentirsi dire dal PM che il fatto non sussiste. Notizie del genere, purtroppo, sono all’ordine del giorno, ma il caso di Maria Milei, la donna assolta il 9 luglio dall’accusa di aver spacciato banconote false, sbattuta per mesi tra carcere di Pozzuoli e quello di Secondigliano, una madre di due figli proclamatasi sempre innocente, sta facendo più rumore di altre. Perché Maria è la stessa donna per la quale il suo avvocato Gennaro De Falco, giusto un anno fa, aveva chiesto i domiciliari per le sue gravi condizioni di salute: il pensiero dei due figli minori rimasti soli, senza nessuno che badasse a loro, la tormentava. Era arrivata a pesare 40 chili e per la depressione aveva perso tutti i capelli. Ma i giudici non avevano accolto l’accorato appello dell’avvocato De Falco, Maria è rimasta in carcere ancora a lungo, fino alla sentenza di pochi giorni fa. Errore giudiziario? Prassi disumane? O che altro? Ha accettato di parlarne con il “Roma” il penalista Gennaro De Falco.
Avvocato De Falco, di casi giudiziari come quello di Maria Milei, ai confini della realtà eppure realmente accaduti, è pieno il suo libro “Il processo dietro le quinte”. Possiamo definirla “mala giustizia”?
«In questo caso parlerei più che altro di approssimazione, confusione, contraddittorietà, specie nella fase cautelare. Si è insistito ad arrestarla nonostante mancassero prove sufficienti e vi fossero anche evidenti vizi procedurali. Che ovviamente ho contestato, ma non sono stato ascoltato, non mi hanno risposto».
E tutto questo genera gli errori giudiziari.
«Il caos si determina quando la stessa causa si discute in più sedi diverse, quando bisogna confrontarsi, magistrati ed avvocati, con montagne di carte processuali, che molto spesso si contraddicono fra loro. Le faccio un solo esempio: alla mia assistita è stato più volte negato il beneficio dei domiciliari o comunque di una custodia attenuata, come richiesto da me e dalla collega Maria Laura Masi del Foro di Torre Annunziata, attualmente titolare dell’incarico. Il compagno della Milei, arrestato con le stesse ipotesi accusatorie e per giunta con precedenti penali, è stato rimesso in libertà quasi subito».
Si tratta di casi limite, o sta diventando una prassi?
«Guardi, sono situazioni che vivo da sempre. La verità è che chi varca la soglia del carcere sa come entra ma non come se ne esce. Anzi, il più delle volte non sa nemmeno perché ci è entrato. Ma le conseguenze non le paga solo chi viene recluso, ricadono anche sui familiari e spesso sono pressoché irreparabili. Mi riferisco in questo caso al figlio della signora Milei, tuttora minorenne».
Cosa gli è successo?
«Questo ragazzo, che prima dell’arresto della madre aveva già qualche problema ma era sotto controllo, andava a scuola e studiava. Poi è rimasto solo, è ricaduto nel baratro delle difficoltà oggi è recluso nel carcere di Nisida. E sa chi è l’unico rimasto ad occuparsi di lui?».
Chi?
«Il sottoscritto. Vado a trovarlo quando posso, pur con tutte le difficoltà di quell’istituto, la mancanza di spazi adeguati per i colloqui, le multe per arrivarci in auto e quant’altro. Sta di fatto, però, che ha ripreso gli studi dell’Alberghiero e quest’anno è stato promosso. Sostanzialmente noi avvocati dobbiamo dedicarci anche ad un ruolo di supplenza, coprire carenze delle istituzioni, anche quando tutto questo accade perché è stata arrestata e tenuta in carcere una madre che era innocente. Un caso doloroso il suo, che definirei “alla Oliver Twist”».
Secondo lei come si sente un pubblico ministero quando, dopo aver tenuto in carcere per mesi una persona, deve chiedere che sia liberata e dichiarata innocente?
«Mah, intanto dico che ci vuole coraggio, per chiunque, ad ammettere di aver scambiato opinione. E ci vuole più coraggio ad assolvere che a condannare. Tuttavia ribadisco che certe situazioni non si verificherebbero così frequentemente se esistesse una dialettica vera e costruttiva, un rispetto effettivo dei ruoli fra pubblica accusa e difensore, cosa che molto spesso non accade. Così facendo si eviterebbero costi economici e sociali altissimi, che pagano i cittadini ingiustamente accusati, ma anche i contribuenti. Invece talvolta predomina la cultura del sospetto, ma anche la voglia di protagonismo…».
Se la responsabilità civile del magistrato fosse diretta e non mediata attraverso lo Stato, questo stato di cose cambierebbe in meglio, secondo lei?
«Nella fase della valutazione non cambierebbe molto, perché tanto è lasciato all’elemento soggettivo del giudice. Dove invece potrebbe cambiare qualcosa è in tutti i momenti del processo in cui l’avvocato avanza una precisa richiesta e molto spesso non riceve alcuna risposta. In quei casi la valutazione soggettiva non c’entra. Il PM o il Gip devono dare risposta».
Ma sovente non la danno. E allora?
«E allora la conclusione è sempre la stessa, quella che dimostro nel mio libro: la giustizia in Italia altro non è se non uno strumento del Potere».
Si aspettava questa vittoria?
«L’assoluzione perché il fatto non sussiste me l’aspettavo fin dall’inizio, perché sapevo che il processo era debole. La mia vera vittoria è un’altra».
Quale?
«Che quest’anno il figlio di Maria Milei è stato promosso».
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