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Clan Contini, ultimo affondo: 18 anni per Ciro Di Carluccio

Raffica di condanne nell’appello-bis, il fratello Gerardo se la cava con 6 anni

Clan Contini, ultimo affondo: 18 anni per Ciro Di Carluccio

NAPOLI. Sulla loro testa pendeva l’accusa di essere l’ala imprenditoriale del clan Contini. Sarebbero stati loro, secondo la ricostruzione della Procura, a far diventare la holding mafiosa con base tra i quartieri Vasto, Arenaccia e San Carlo all’Arena un vero e proprio impero finanziario capace di riciclare fiumi di denaro sporco. Ieri pomeriggio, dopo il verdetto di annullamento con rinvio pronunciato dalla Cassazione, la Corte di appello di Napoli, quinta sezione penale, presidente Andrea Rovida, ha emesso il nuovo verdetto.

Al netto di alcuni importanti colpi di scena, come l’assoluzione dall’accusa di camorra ottenuta dal presunto ras Gerardo Di Carluccio, è arrivata una sfilza di condanne. La più severa è stata quella rimediata da Ciro Di Carluccio, a lungo ritenuto uno dei reggenti della cosca, il quale, nonostante la Corte abbia dichiarato prescritto uno dei reati contestati, ha incassato 18 anni e 9 mesi di reclusione. Reato prescritto anche per Rosario Apicella, Raffaele Corvino e Sergio Simaldone. Niente stangata per Gerardo Di Carluccio, difeso dall’avvocato Antonio Abet, che è stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa per non aver commesso il fatto e la cui pena è stata rideterminata in 6 anni di carcere. Antonio Di Carluccio ha invece rimediato 4 anni, mentre Gennaro Pascale e Raffaele Saturno sono stati condannati a 3 anni e per loro la Corte di appello ha disposto la revoca della confisca dei beni, così come per Antonio e Gerardo Di Carluccio.

Verdetto favorevole anche per l’imprenditore Raffaele Olisterno, che ha ottenuto la revoca della confisca dei beni e che si era visto privare del suo intero patrimonio, compresa la storica gioielleria del Borgo Orefici. Un colpo di scena arrivato dopo il giudizio svolto in sede di rinvio dopo che la Corte di Cassazione aveva accolto il ricorso dei difensori Annalisa Senese e Gennaro Pecoraro. Del collegio difensivo facevano parte anche gli avvocati Raffaele De Simone, Salvatore D’Antonio e Marco Muscariello.

La maxi-inchiesta aveva portato all’arresto di oltre novanta persone ritenute affiliate o vicine al clan Contini, la cosca che dal quartiere dell’Arenaccia, è partita alla conquista di Roma grazie al riciclaggio di milioni e milioni di euro che ha accumulato grazie al traffico di sostanze stupefacenti e al commercio di merce contraffatta in Italia e in Europa. Oltre sessanta imputati avevano scelto di essere processati con il rito abbreviato tra i capi i capi del clan Giuseppe Ammendola, Eduardo Contini “’o romano”, Luigi Cella e Luigi Mastellone, narcos internazionali. In primo grado erano però arrivate condanne per quasi sei secoli. In seguito la Cassazione aveva rigettato i ricorsi avanzati da quasi tutti gli esponenti di spicco della cosca, tra cui Aieta Anna, Ettore Bosti (1979), Ettore Bosti (1958), Massimo Botta, Mario Cardinale (1961), Mario Esposito, Luigi Ferrara, Enrico Kaiser, Antonietta Petito, Carlo Piscopo, Antonio Righi, Mario Righi e Salvatore Righi.

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