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malanapoli
13 Agosto 2025 - 08:49
NAPOLI. Dopo l’arresto con l’accusa di essere il mandante del tentato omicidio di Luca Di Stefano, titolare di una ristopescheria di Sant’Antimo molto noto sui social, per il ras del clan Pezzella e il figlio, anch’egli coinvolto in quel delitto, arriva una nuova tegola giudiziaria. Michele Orefice, 46enne noto negli ambienti criminali come “nir nir”, e il figlio Luigi Orefice, ieri mattina si sono visti notificare una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere. I due malavitosi dell’area nord di Napoli questa volta sono accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso: uno dei principali business del gruppo che fa capo ai Pezzella.
Per l’agguato al ristoratore tiktoker la svolta nell’inchiesta era arrivata con gli arresti di inizio luglio scorso. Il tentato omicidio risaliva invece a precedente 13 maggio e si era consumato nella pescheria di Sant’Antimo. Tre le persone arrestate dalla polizia di Stato: Michele Orefice, 46 anni, ritenuto a capo dell’omonimo gruppo criminale vicino al clan Pezzella, il figlio Luigi Orefice, 20 anni, e Pietro D’Angelo, 23 anni. Era una serata come tante nel locale “Il Sole di Notte”, quando un uomo a volto coperto aveva fatto irruzione, stando alla ricostruzione della Squadra mobile di Napoli e del commissariato di Frattamaggiore. L’esecutore materiale venne poi identificato in Pietro D’Angelo, che, dopo aver ordinato ai clienti di uscire immediatamente dal locale, aveva raggiunto la cucina dove si trovava Di Stefano e aveva sparato all’impazzata. Uno dei colpi di pistola aveva centrato la vittima alla mano.
A evitare il peggio era stata la prontezza di riflessi del ristoratore, che si era difeso lanciando alcuni tavolini contro il killer, che a quel punto aveva deciso di darsi alla fuga. Il ferimento del tiktoker era stato preceduto dal pestaggio di una giovane donna di Grumo Nevano, accusata di essersi “riavvicinata” a Di Stefano nonostante fosse l’amante del boss detenuto Michele Orefice, padre di Luigi. Proprio una conversazione intercettata tra la donna e il boss, in possesso di un cellulare nonostante si trovasse in carcere, ha aiutato gli inquirenti a dimostrare il coinvolgimento degli Orefice nel pestaggio e nel successivo raid armato ai danni di Di Stefano.
La conversazione avvenne il 15 maggio, qualche giorno dopo che l’ormai ex amante di Michele Orefice fosse stata picchiata da una donna, “ingaggiata”, secondo la Procura, da Orefice jr. Il padre, parlando con la moglie, si era mostrato compiaciuto per le violenze subite dalla ex e si era interessato a sapere se il pestaggio fosse stato filmato. La moglie gli aveva quindi confermato di aver registrato il momento in cui la vittima, ferita e stesa a terra, gridava mentre alcune persone cercavano di soccorrerla. Le indagini hanno chiarito le responsabilità individuali: Michele Orefice ha dato l’ordine, suo figlio Luigi ha curato l’organizzazione logistica dell’agguato, mentre D’Angelo è stato l’esecutore materiale del tentato omicidio. Per i due Orefice è ora arrivata la nuova accusa di racket.
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