Cerca

Il riesame

Agguato a tiktoker, non fu tentato omicidio

Un’intercettazione alla base della decisione dei giudici che derubricano il reato

Agguato a tiktoker, non fu tentato omicidio

Michele Orefice

NAPOLI. «Sparare giù alle gambe…e te ne vai…». Questa frase, intercettata in ambientale, è alla base della decisione del Tribunale del Riesame (XII sezione) che ha derubricato in lesioni il reato inizialmente contestato di tentato omicidio ai tre indagati per il ferimento del tiktoker Luca Di Stefano, titolare della ristopescheria “Il sole di notte”.

DA OMICIDIO A LESIONI

In sostanza il presunto mandante Michele Orefice, ritenuto vicino al clan Pezzella di Frattamaggiore, avrebbe indicato chiaramente al figlio Luigi l’ambito dell’azione di fuoco nei confronti dell’imprenditore social. Non doveva ucciderlo e quindi l’accusa a parere dei giudici deve essere cambiata. Un risultato molto importante per la difesa, rappresentata dagli avvocati Leopoldo Perone, Domenico Dello Iacono e Antonio Rizzo.

TRE GLI ARRESTATI

Tre le persone arrestate nella vicenda dalla polizia di Stato: Michele Orefice, 46 anni, ritenuto a capo dell’omonimo gruppo vicino al clan Pezzella, il figlio Luigi Orefice, 20 anni, e Pietro D’Angelo, 23 anni. Era una serata come tante nel locale “Il Sole di Notte”, quando un uomo a volto coperto aveva fatto irruzione, stando alla ricostruzione della Squadra mobile di Napoli e del commissariato di Frattamaggiore. L’esecutore materiale venne poi identificato in Pietro D’Angelo, che, dopo aver ordinato ai clienti di uscire immediatamente dal locale, aveva raggiunto la cucina dove si trovava Di Stefano e aveva sparato.

IL PESTAGGIO DI UNA GIOVANE DONNA

A evitare il peggio era stata la prontezza di riflessi del ristoratore, che si era difeso lanciando alcuni tavolini contro il pistolero, che a quel punto aveva deciso di darsi alla fuga. Il ferimento del tiktoker era stato preceduto dal pestaggio di una giovane donna di Grumo Nevano, accusata di essersi “riavvicinata” all’ex fidanzato Di Stefano nonostante una pregressa relazione con il boss detenuto Michele Orefice, padre di Luigi.

L’INTERCETTAZIONE

Proprio una conversazione intercettata tra la donna e il boss, in possesso di un cellulare nonostante si trovasse in carcere, ha aiutato gli inquirenti a dimostrare il coinvolgimento degli Orefice nel pestaggio e nel successivo raid armato ai danni di Di Stefano.

LA CONVERSAZIONE

La conversazione avvenne il 15 maggio scorso. Orefice si era mostrato compiaciuto per le violenze subite dalla ex e si era interessato a sapere se il pestaggio fosse stato filmato. Le indagini hanno chiarito le responsabilità individuali: Michele Orefice ha dato l’ordine, suo figlio Luigi ha curato l’organizzazione logistica dell’agguato, mentre D’Angelo è stato l’esecutore materiale, tutti da ritenere innocenti fino a eventuale condanna definitiva.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori