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Droga per le “basi” di Miano, stangata al gotha della cosca

Droga per le “basi” di Miano, stangata al gotha della cosca

La Cassazione conferma le condanne per oltre venti imputati

NAPOLI. Clan Lo Russo alla sbarra per droga, diventano definitive le condanne per quasi trenta imputati e annullata con rinvio solo la confisca dei beni del narcotrafficante Salvatore La Hara. La Corte di cassazione,  Seconda sezione penale, presieduta dal giudice Prestipino, ha messo la parola fine all’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia che portò alla sbarra i vertici della compagine e decine di affiliati al clan dei “Capitoni”.
Le imputazioni riguardavano sia l’associazione di tipo mafioso, sia l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Nel capo di incolpazione veniva contestato al potente gruppo dei Lo Russo di aver operato per ben quindici anni. I mezzi di prova acquisiti durante le indagini grazie alle intercettazioni si sono arricchiti con il contributo offerto agli inquirenti dai vertici della associazione poi divenuto collaboratori di giustizia. Pesanti le condanne inflitte il 24 gennaio 2017 dalla Corte d’appello di Napoli, le quali sono diventate irrevocabili dopo la dichiarazione di inammissibilità di tutti i ricorsi proposti dai numerosi difensori decisa dalla Corte di cassazione. Viceversa, la Suprema Corte, condividendo le ragioni giuridiche formulate dagli avvocati Dario Vannetiello e Annamaria Ziccardi,  ha annullato la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli relativamente alla confisca che fu imposta ai danni del narcotrafficante Salvatore La Hara, “’o pazzo”, al quale furono a suo tempo sequestrati un immobile, conti correnti bancari e postali, nonché due autovetture. Il nuovo giudizio sul tema si svolgerà innanzi ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli dopo che la Cassazione renderà note le motivazioni  per le quali ha sposato le tesi degli avvocati Vannetiello e Ziccardi.
Che per gli imputati le cose non si sarebbero messe troppo bene lo si era già capito dal verdetto di primo grado. Nell’ottobre del 2015, infatti, furono inflitti qualcosa come oltre 310 anni di reclusione. Tra le pene più alte quelle comminate a Carlo Lo Russo e Giovanni Della Corte, 16 anni a testa. Condannati a 14 anni di reclusione invece: Vincenzo Bonovolontà, Ciro Culieri, Antonio De Simini, Mario Lo Russo e Pietro Polverino. Condannato a 15 anni e 4 mesi Salvatore Silvestri. Poi via via a scendere le condanne per
tutti gli altri imputati, da 4 fino ai 14 anni. L’inchiesta della Dda, infatti, aveva sferrato un vero e proprio colpo da ko ai danni di vecchi e nuovi ras, su tutti Mario Lo Russo e il figlio Carlo Amedeo detto “Lellè”, toccandone con particolare incisività un punto molto caro all’organizzazione: gli interessi economici. Con gli arresti del 18 settembre precedente erano stati infatti azzerati i componenti dei vari nuclei di trafficanti di droga organici al clan. Tra i tre unici latitanti era tuttavia rimasto, Luigi Lo Russo, detto “Gigiotto”, già ricercato per il tentato omicidio di Giovanni Lista: la risposta all’omicidio di Domenico Raffone e del ferimento del “padrino” Mario Lo Russo.

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