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malanapoli
11 Settembre 2025 - 09:32
NAPOLI. Il presunto babykiller dei Decumani non ci sta. Renato Caiafa, 20 anni appena e un futuro già compromesso, dopo l’arresto per armi ed essere finito nuovamente in manette con l’accusa di aver ucciso volontariamente l’amico fraterno Arcangelo Correra, ieri mattina si è presentato davanti al gip Iagulli per l’interrogatorio di garanzia. Il giovane ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere, ma ha voluto affidare al giudice una breve, ma ferma, dichiarazione spontanea: «La pistola non era mia, l’ho trovata», ha ribadito ancora una volta, aggiungendo: «Non volevo che partisse il colpo, non ho premuto il grilletto». Toccherà nei prossimi giorni al suo legale, l’avvocato Giuseppe De Gregorio, intavolare la strategia difensiva da portare in sede di Riesame: «Verificheremo annuncia il penalista l’esatta credibilità di coloro che si definiscono testi, salvo ulteriori accertamenti sull’arma sequestrata».
In quella tragica notte erano uno di fronte all’altro e Renato Benedetto Caiafa non avrebbe maneggiato la pistola per giocare, bensì puntando l’arma contro la testa di Arcangelo Correra premendo il grilletto. Un comportamento che per gli inquirenti integra il reato di omicidio volontario con dolo eventuale. Anche se sicuramente il 20enne non voleva uccidere l’amico, da martedì la sua posizione giudiziaria è molto più grave. Le indagini tecnico-scientifiche, la balistica, le intercettazioni ambientali e le investigazioni della polizia hanno fatto emergere un quadro profondamente diverso da quello emerso nel corso dei primi accertamenti.
Cosicché il gip del tribunale di Napoli ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dell’indagato, già in carcere per il possesso della Beretta utilizzata per il delitto il 9 novembre 2024 in piazza Sedil Capuano. Inoltre, quella sera un altro dei giovani presenti, sette compresi Caiafa e la vittima, aveva una seconda arma da fuoco. Il colpo di scena è arrivato grazie alle indagini dei poliziotti della sezione Omicidi della Squadra mobile, coordinate dalla VII sezione della Procura di Napoli con il procuratore Pierpaolo Filippelli.
È venuto fuori, rispetto alle testimonianze iniziali degli amici di Caiafa, che da tempo quest’ultimo possedeva una pistola che mostrava per spavalderia; quella notte al momento dell’unico sparo il 20enne e il coetaneo erano di fronte all’altro in sella a due scooter; l’arma sarebbe stata puntata in maniera diretta alla testa di Arcangelo Correra. Renato Caiafa, si legge nella misura cautelare, era convinto che l’arma fosse scarica e da ciò si deduce che non volesse uccidere Arcangelo Correra con cui era cresciuto insieme. Ma, scrive nella misura cautelare il gip, non era uno che per la prima volta impugnava una pistola e quindi il suo comportamento integra il reato che gli viene contestato (ferma restando per lui la presunzione d’innocenza fino all’eventuale condanna definitiva). Un peso nelle indagini hanno avuto anche alcune intercettazioni in carcere tra Caiafa e i suoi familiari.
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