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Miano

Attirato in trappola e ucciso come un boss

Umberto Russo detto “Pescetiello” già nel 2015 si salvò per un soffio dal piombo esploso dai sicaro

Attirato in trappola e ucciso come un boss

Il luogo dell’agguato e nel riquadro la vittima Umberto Russo

NAPOLI. Attirato in una trappola, seguito e ucciso nel luogo del finto appuntamento. Umberto Russo, 33 anni compiuti a giugno, si sarebbe fidato della persona sbagliata ieri mattina e con la propria Jeep Renegade è andato incontro alla morte. L’agguato è scattato alle 9 e 50 in via Miano, nei pressi dell’ingresso di porta Piccola del Bosco di Capodimonte, e rientrerebbe nei contrasti tra i due clan che si sono divisi l’eredità camorristica dei Lo Russo: gli Scognamiglio e i Pecorelli-Catone.

“Pescetiello” era appena arrivato e stava per uscire dalla macchina quando sono comparsi i killer, due in sella a una motocicletta secondo le testimonianze raccolte dagli investigatori. Ferito gravemente, è morto poco dopo al Cardarelli. Dell’omicidio si stanno occupando i carabinieri della compagnia Vomero, i quali hanno ascoltato diversi potenziali testimoni e acquisito le prime informazioni sul posto.

I sicari indossavano caschi integrali e hanno fatto fuoco a pochi metri di distanza da alcuni passanti che camminavano sul marciapiede che costeggia il bosco di Capodimonte. Si è sparso il terrore, ma fortunatamente nessun innocente è rimasto coinvolto nella sparatoria. La vittima secondo gli investigatori aveva fatto il salto di qualità, da spacciatore a capopiazza e la sua ascesa potrebbe aver dato fastidio ad altri emergenti di malavita del quartiere.

Già nel 2015 finì nel mirino dei nemici, probabilmente non gli stessi, e per un soffiò si salvò nel corso di un agguato in via Valente. Ci andò di mezzo un 44enne incensurato che si trovò sulla traiettoria dei proiettili indirizzati a Umberto Russo. Entrambi rimasero feriti.

Trentatré anni compiuti a giugno scorso, di cui quasi dieci trascorsi dietro le sbarre di un carcere, Umberto Russo, marito e padre di due figli piccoli, coltivava aspirazioni da boss e avrebbe agito come tale negli ultimi mesi. Era stato scarcerato da poco più di un anno ed era attualmente sottoposto alla libertà vigilata. Un “paletto” che non gli impediva di uscire di casa ,con il solo obbligo di rientro entro le 21.

Tanto che, poche settimane fa, era stato sorpreso durante un controllo di polizia. “Pescetiello” fu fermato mentre era in compagnia di alcuni pregiudicati della zona di Miano e, soprattutto, trovato in possesso di 2mila euro di cui non seppe giustificare la provenienza. Denaro sottoposto a sequestro e sul quale erano in corso accertamenti investigativi.

Il suo ritorno nel giro potrebbe avergli causato più di qualche inimicizia negli ambienti della criminalità organizzata di Miano, dove da qualche tempo i Lo Russo, suo clan di appartenenza, sono tornati a fare la voce grossa. E proprio la vendita di stupefacenti al dettaglio è stata per anni la “specialità” di Umberto Russo. Un business che a gennaio 2016 gli valse la pesante accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga.

L’allora poco più che ventenne fu infatti arrestato nel maxi-blitz che portò, tra gli altri, alla cattura del capoclan Antonio Lo Russo, poi pentitosi. Umberto Russo, in particolare, era stato inquadrato come il gestore della prolifica base di spaccio di via Valente, una delle più redditizie per la cosca dei “Capitoni”. Una manciata di mesi prima, il 22 novembre 2015, proprio là “Pescetiello” riuscì a salvarsi da un agguato che un commando di sicari gli tese. Altra storia e altri scenari camorristici, sia pur sempre influenzati dal clan Lo Russo.

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