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il lutto

Addio a Michele Morello, il “giudice galantuomo”

Aveva 93 anni, è ricordato soprattutto per aver presieduto la corte d’appello che assolse Enzo Tortora

Addio a Michele Morello, il “giudice galantuomo”

È scomparso Michele Morello, illustre magistrato napoletano, all’età di 93 anni nella sua abitazione al Vomero. Figura di rilievo nel mondo della giustizia, Morello è ricordato soprattutto per aver presieduto la corte d’appello che ha assolto Enzo Tortora, una delle vicende giudiziarie più emblematiche e dibattute della storia italiana. Era padre di Tullio Morello, anch’egli magistrato e attualmente componente del Csm.

La carriera di Morello si sviluppò con impegno e successo a partire dalla laurea in giurisprudenza e dall’uditorato. Vestì la toga inizialmente come pretore, quindi come giudice presso il Tribunale di Napoli, raggiungendo poi prestigiosi incarichi alla Corte d’Appello e svolgendo il ruolo di procuratore aggiunto presso la Procura Circondariale. Fu qui che guidò inchieste di grande rilievo, tra cui quella sui trattamenti disumani subiti dai detenuti del carcere di Secondigliano negli anni ’90. Il suo percorso professionale si concluse come procuratore generale a Campobasso.

Conosciuto affettuosamente come il “giudice galantuomo”, titolo che riflette la sua preparazione impeccabile, integrità morale e un carattere al contempo deciso e rispettoso, Morello guadagnò l’ammirazione di colleghi, avvocati e personale giudiziario. Il suo nome rimane per sempre legato al processo d’appello di Enzo Tortora, durante il quale furono disinnescate le accuse infondate basate sulle dichiarazioni di pentiti della Nuova Camorra Organizzata.

Tortora, noto conduttore televisivo, era stato arrestato nel giugno 1983 con l’accusa di associazione camorristica e traffico di sostanze stupefacenti, accuse poi completamente respinte in appello e confermate come infondate in Cassazione. L’assoluzione piena evidenziò la fragilità delle prove e suscitò un acceso dibattito politico e mediatico. Purtroppo, Tortora morì poco dopo aver ottenuto l’assoluzione definitiva, lasciando dietro di sé una storia di ingiustizia e riscatto giudiziario che ancora oggi rappresenta una lezione per il sistema legale italiano.

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