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la sentenza
04 Novembre 2025 - 07:30
									NAPOLI. Le indagini culminate negli arresti eseguiti a inizio settembre 2023 sembrano aver tratteggiato un quadro indiziario schiacciante. Anna Ottico, sospettata di essere la regista di un maxi-giro di usura alle porte di Napoli Est, i figli e due complici rischiavano di andare incontro a una sonora stangata giudiziaria, come del resto richiesto anche dalla Dda di Napoli, che non a caso aveva invocato cinque condanne per altrettanti imputati. Il processo celebrato innanzi al gip De Micco ha però riservato diversi colpi di scena: su tutti le assoluzioni rimediate da Pietro Silvestrino, difeso dall’avvocato Giuseppe Milazzo, Maria Caruso, difesa dall’avvocato Immacolata Romano, e Alessandro Di Napoli.
La posizione più compromessa era quella di Maria Caruso, sulla cui testa pendevano le accuse di usura, tentata estorsione, attività finanziaria abusiva e associazione per delinquere finalizzata al contrabbando in concorso con Silvestrino e Di Napoli. Solo due, invece, le condanne disposte dal giudice di primo grado, tra l’altro piuttosto inferiori alle richieste della Procura: Anna Ottica, presunto capo della holding, ha rimediato 3 anni per autoriciclaggio e attività finanziaria abusiva (avrebbe praticato il cosiddetto “carosello”), mentre il figlio Mario Caruso ha incassato 5 anni e 4 mesi per usura, autoriciclaggio e attività finanziaria abusiva. Entrambi era assistiti di fiducia dall’avvocato Francesco Annunziata.
Una vicenda tra Napoli e San Giorgio a Cremano originata dalla denuncia di Vincenzo Troia, nipote dei famosi malavitosi Troia di San Giorgio a Cremano, che confidò ai carabinieri di essere sotto usura per mano di Anna Ottico e del figlio Mario Caruso (del rione Sant’Anna della cittadina vesuviana). Le indagini erano partite, culminando nel settembre di due anni fa in due misure cautelari: l’uomo era finito in carcere ma fu poi liberato dal Riesame, la donna ai domiciliari. Mentre erano indagate a piede libero altre tre persone: Maria Caruso (sorella di Mario) per gli stessi reati dei congiunti; Pietro Silvestrino detto “don Pierino” e Alessandro Di Napoli per un contrabbando di sigarette emerso dalle intercettazioni telefoniche, in combutta con i fratelli Caruso e con un congiunto di questi ultimi deceduto nel frattempo.
L’accusa di usura inizialmente comprendeva l’aggravante del metodo mafioso, ma il gip l’aveva subito cancellata. Sulla base del racconto della vittima e delle indagini compiute sarebbe venuto fuori un prestito di 2.700 euro da restituire con la maggiorazione di 4.400 euro di interessi. Altrimenti al giovane, finito sotto scacco per il vizio del gioco, sarebbe stata «rotta la testa». Le minacce più gravi le avrebbero pronunciate i due fratelli, incontrando Troia in strada. «Mario mi disse: ti sfonn ’a capa. Veng a casa e romp ’a capa pure a mammet se non provvedi a pagarmi tutto». Nella vicenda avrebbe avuto il ruolo di contabile Anna Ottico, madre dei Caruso. Mario fungeva da ariete mentre la sorella Maria era l’intermediaria.
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