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Vomero: commercio in crisi e l’artigianato scompare

Il numero di attività commerciali chiuse o trasferite è lievitato col passare del tempo

Vomero: commercio in crisi e l’artigianato scompare

Il quartiere Vomero, nell'ultima metà del secolo scorso, si era trasformato in una delle aree commercialmente più attive del capoluogo partenopeo se non dell'intera regione Campania. Comparto, quello del commercio, che peraltro ha costituito da allora il principale settore produttivo del quartiere collinare, con conseguenti ricadute positive anche sul piano occupazionale. Ma, da alcuni anni a questa parte, purtroppo tale settore ha fatto registrare segni di forte crisi. Il numero di attività commerciali, molte delle quali storiche, che, dopo essere passate di generazione in generazione, hanno chiuso o si sono trasferite, è lievitato col passare del tempo.

Mentre, al loro posto, sono spuntati, come funghi, pubblici esercizi adibiti alla vendita e alla somministrazione di cibi e bevande, principalmente bar, ristoranti e pizzerie che utilizzano prevalentemente il suolo pubblico con l'installazione di dehors, ombrelloni, tavolini e sedie. L'ultimo esercizio commerciale che ha chiuso di recente, adibito alla vendita di calzature, aveva l'attività nella centralissima via Luca Giordano.

Analizzando più in generale i mutamenti che stanno avvenendo nel terziario commerciale, occorre anche considerare che il Vomero era, ma attualmente non lo è più, un fondamentale punto di riferimento commerciale anche per chi veniva da altre zone della Città e dai Comuni della Provincia. In verità, il quartiere collinare, dall'inizio di questo secolo, ha dovuto fare i conti con l’aggravamento dei problemi legati alla viabilità, determinati, tra l’altro, dall’adozione di alcuni provvedimenti di pedonalizzazione, tra i quali quelli di alcuni tratti di via Scarlatti e di via Luca Giordano e, più di recente, con la chiusura al traffico di una parte di piazza degli Artisti, non accompagnati dalla contestuale creazione di infrastrutture, principalmente parcheggi pubblici a raso nelle aree limitrofe, come quello progettato, fin dagli anni '80, sotto i viadotti della tangenziale in via Cilea.

Tutto ciò, in uno alle ben note carenze nel sistema del trasporto pubblico cittadino, ha notevolmente contribuito ad allontanare i potenziali acquirenti che un tempo raggiungevano, anche dai Comuni dell’entroterra, il quartiere con la propria autovettura e che ora devono fare i conti con le tariffe esose dei pochi parcheggi privati, dal momento che i già insufficienti stalli delle strisce blu, sono occupati dalle auto dei residenti. Di conseguenza al Vomero si sono registrate situazioni che lo accomunano peraltro a molti altri quartieri cittadini.

È scomparso l’artigianato, sono sparire molte attività legate alla cultura e allo spettacolo, con la chiusura, tra le altre, di alcune importanti librerie e di diverse sale cinematografiche. Infine, sul piano del rilancio turistico, non si è ancora data pratica attuazione a iniziative tese alla valorizzazione di siti che, sulla carta, rappresentano dei notevoli attrattori, come l’area di San Martino e la villa Floridiana, con gli annessi musei, cosa che si auspicava potesse avvenire, con la creazione del polo museale autonomo: "Musei nazionale del Vomero", voluto dall'ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, polo che, fino ad oggi, è rimasto sulla carta, in attesa che vengano completate le procedure burocratiche e amministrative per la piena operatività.

Eppure basterebbe poco per cercare di arginare questa vera e propria ecatombe di esercizi commerciali sulla collina vomerese. Per esemplificare, nel 2014 fu varata una legge regionale, la n. 11, per la valorizzazione degli esercizi e delle botteghe storiche della Campania, che avrebbe dovuto, seppure con notevole ritardo, allineare la nostra regione alle altre, dove tale normativa era già presente da lustri. Ma, dall'ultimo dato pubblicato sul sito del Comune di Napoli, risulta che, sul territorio comunale, sono state censite solo 25 attività, tra le quali appena 9 ultracentenarie, che possono usufruire dei benefici, anche economici, di detta legge. Un dato che, a distanza di oltre dieci anni dall'entrata in vigore della legge, risulta fortemente sottodimensionato e che desta non poche perplessità e dubbi, specialmente se confrontato con quello di altre città, come Milano, dove sull'apposito sito dedicato alle botteghe storiche della città, è reperibile un elenco che, in base ai dati aggiornati all'anno 2024, comprende ben 625 attività commerciali.

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