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«Non puoi aprire se non paghi»

Le intimidazioni degli esponenti del clan Mallardo a un ristoratore

«Non puoi aprire se non paghi»

NAPOLI. «Uomo bello, non aprire che me la prendo con te». «Non aprire che ce la prendiamo con te che sei maschio». Due frasi minacciose consecutive, agli atti dell’inchiesta sul clan Mallardo culminata in sei misure cautelari lo scorso 6 novembre, attribuite dagli inquirenti a Emanuele Piscopo e Gennaro Ronga che con Pietro Tortorelli dovranno rispondere di un’estorsione al titolare di una nota pizzeria di Giugliano in Campania. Prima si sarebbero rivolti a uno dei dipendenti, intimandogli di non aprire il locale, poi avrebbero rivolto le loro attenzioni al gestore. Il quale fece un po’ di resistenza, poi fu costretto a cedere e a consegnare 7.500 euro dopo un violento pestaggio.

Su questo e altri casi di “pizzo” hanno indagato i carabinieri della compagnia di Giugliano in Campania, coordinati dalla Dda di Napoli. Un provvedimento restrittivo è stato notificato ad Alfredo Lama, 64 anni; Carmine Cerqua, 54; Giuseppe D’Alterio, 34; Roberto Corona, 32, Gennaro Ronga, 32; Giuseppe Sacco, 82enne, tutti napoletani o del Giuglianese. A quest’ultimo in considerazione dell’età avanzata il gip ha concesso gli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico e il divieto di comunicare con persone estranee al nucleo familiare. I reati contestati dagli inquirenti agli indagati (da ritenere innocenti fino all’eventuale condanna definitiva) a seconda delle varie posizioni vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione e alla detenzione e porto illegali di armi.

Nell’inchiesta figurano pure come indagati a piede liberi (e quindi anch’essi presunti innocenti) Giovanna D’Agostino, Ivan Falcone, Emanuele Piscopo e Pietro Tortorelli. Secondo la ricostruzione di inquirenti e investigatori le vittime in alcuni casi sono state minacciate con armi da fuoco. Il denaro ottenuto confluiva nella cassa comune per essere poi in parte distribuito tra gli affiliati e le famiglie dei detenuti mediante consegna casa per casa. Lo stipendio versato era mensile. Gli indagati stabilivano a chi chiedere il “pizzo” sulla base di una mappatura del territorio di Giugliano in Campania e proprio guardando la piantina rinunciarono in un caso: «è pericoloso, troppo vicino alla caserma».

Per i militari dell’Arma e i pm della Dda, gli indagati avrebbero agito per conto del clan Mallardo, componente di rango in quanto fondatore della federazione mafiosa chiamata Alleanza di Secondigliano. Un biglietto da visita da far paura, anche se non tutte le vittime hanno ceduto. Di Roberto Corona un collaboratore di giustizia ha raccontato che diceva sempre: «Questa è la famiglia mia, sto con i Mallardo. Quelli della Masseria (i Licciardi, ndr) e i Mallardo sono una sola cosa». L’inchiesta ha permesso di ricostruire due episodi particolari: la disperazione del titolare di una pizzeria al quale era stato imposto di chiudere di sabato, il miglior giorno per gli incassi, e una seduta di “zicchinetto”, gioco d’azzardo che si fa con le carte napoletane, nel quale l’organizzatore dell’evento prestava anche i soldi. In un caso un partecipante aveva ricevuto ben 140mila euro in quanto continuava a perdere e nel tentativo di rifarsi accumulava altri debiti.

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