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CRIMINALITÀ

Zecca clandestina, sei condanne

Stangata in primo grado ai tipografi della “Napoli group”, Alfredo Muoio incassa 4 anni

Zecca clandestina, sei condanne

NAPOLI. Zecca clandestina nel cuore della periferia est, dopo il blitz che a maggio 2024 aveva disarticolato la banda di falsari capeggiata da Alfredo Muoio arrivano adesso anche le condanne di primo grado.

Ieri mattina, davanti alla sezione penale collegio a del tribunale di Nola si è concluso il dibattimento, che ha sostanzialmente confermato l’impianto accusatorio formulato da Procura e guardia di finanza. Il presunto capo dell’organizzazione, Alfredo Muoio, è stato condannato dal collegio presieduto dal giudice Agnese Di Iorio a 4 anni di carcere.

Alessio Muoio, Michele Rivieccio ed Ermani Vassallo hanno rimediato 3 anni e 6 mesi ciascuno, mentre Antonio Papaccio e Alessandro Aprea se la sono cavata con 6 mesi in continuazione con un’altra sentenza di condanna. Unico assolto Antonio Piscopo, figlio del più noto Luigi Piscopo il “pazzignano”, esponente di spicco della mala di Ponticelli.

Piscopo junior, difeso dall’avvocato Giuseppe Perfetto, è stato scagionato con formula piena per non aver commesso il fatto. I presunti falsari avevano accumulato il tesoro in pochi mesi lavorando a ritmo serrato, praticamente 24 ore su 24, chiusi in un capannone di Ponticelli che era diventato la loro casa, dove dormivano e veniva portato loro il cibo. La fabbrica è stata scoperta dalla guardia di finanza e poi, acquisiti indizi attraverso una serie di intercettazioni, è scattato il decreto di fermo con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla contraffazione di monete e di spendita.

Tra i destinatari figurano Alfredo Muoio, storico tipografo di Casavatore, ritenuto uno dei capi del gruppo; Alessandro Aprea e Ciro Di Mauro, gli stakanovisti del lavoro, e Massimo Molinaro. Il gruppo, inizialmente attivo a Casavatore, provincia nord di Napoli, si era poi spostato a Ponticelli, nella periferia est, dove aveva allestito un capannoneindustriale preso in affitto da una società di bonifica ambientale (estranea alle indagini).

All’interno sono stati trovati circa 80mila fogli ritraenti ciascuno 12 banconote da 50 euro praticamente pronte: dovevano essere solo tagliati per apporre la banda verticale argentata. Per evitare che la produzione si fermasse la banda si serviva di un vivandiere che provvedeva ai bisogni dei falsari: ed era lui a tenere i contatti con il capo e i complici. Per arrivare a riprodurre al meglio le banconote da 50 euro c’era bisogno di trovare la giusta quantità di colore.

E così si andava per tentativi: si stampava e poi si facevano gli aggiustamenti. Impossibile non pensare all'iconica scena della “Banda degli onesti”, quando Totò, Peppino De Filippo e Giacomo Furia discutevano dei colori da utilizzare, ma in questo caso di sgangherato c'era ben poco: la zecca clandestina scoperta a Ponticelli aveva a disposizione macchinari sofisticati. Su alcune delle banconote rinvenute c’erano, segnate a penna, sotto il commento “benino”, alcune annotazioni per migliorare la qualità. Sotto sequestro erano finiti così 48 milioni falsi pronti a entrare nel mercato.

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