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Le intercettazioni

«Paoluccio gli diede tre o quattro paccheri...»

Il pestaggio al ristoratore di Posillipo che non voleva pagare

«Paoluccio gli diede tre o quattro paccheri...»

I Licciardi, decimati dall’operazione dei carabinieri di martedì, usavano metodi violenti per il “recupero crediti”: nel riquadro Paolo Abbatiello

NAPOLI. «Tu…alla famiglia mia…e che sono infame e cornuto come te? Bu…bu…gli ha dato tre o quattro paccheri». Così il ras Paolo Abbatiello detto “Paoluccio” reagì al comportamento di un ristoratore di Posillipo che gli aveva “mancato di rispetto” salutando soltanto lo zio Salvatore Sapio ’o serpente” e rivolgendosi in malo modo a lui e a Luigi Esposito. Proprio quest’ultimo continuò il pestaggio: «Che gli ho combinato…pensa che lui mi abbracciava da dietro e io da quella posizione gli chiavai lo stesso i pugni». Dalle intercettazioni è emersa l’episodio più gravi delle varie fasi dell’estorsione nei confronti del ristoratore, dal quale gli esponenti del clan Licciardi pretendevano che restituisse i soldi a un ex socio. Quest’ultimo, nella ricostruzione degli investigatori, si era rivolto ad Abbatiello e così era iniziata la pressione sull’imprenditore che quel giorno finì all’ospedale. Dove però non raccontò il retroscena della vicenda. Era conosciuto male, tant’è vero che in un’altra ambiente si sente un affiliato alla cosca commentare: «Avete avuto la mano pesante». All’alba di martedì lo Stato ha inferto un duro colpo ai ras della Masseria Cardone con 20 ordinanze di custodia cautelare eseguite su 21 disposte, frutto di un’inchiesta che ha passato il clan ai raggi X. Tra i destinatari finiti in carcere, o già detenuti per altre vicende, figurano Paolo Abbatiello, Luigi Esposito, il nipote di quest’ultimo Giovanni Strazzullo “’o chicco”, Alessandro Giannelli, ras di Bagnoli che si teneva in contatto con l’esterno dal carcere con un cellulare, e Salvatore Sapio. Mentre ai domiciliari sono finite Martina Ferrara e Vincenza Russo, mogli rispettivamente di Esposito e Sapio, e Teresa Marino. Le indagini condotte dai carabinieri dei carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Napoli (generale Biagio Storniolo, tenente colonnello Antonio Bagarolo), sono state coordinate dalla Dda partenopea (procuratore Nicola Gratteri, procuratore aggiunto Sergio Amato). Inquirenti e investigatori che hanno anche ricostruito l’attività di intermediazione del clan Licciardi tra debitori e creditori, accertando che pure la cosca Mazzarella era dedita all’affare illecito. Lo dimostrerebbe l’episodio in cui un imprenditore sollecitato dai Licciardi a pagare chiese aiuto ai Mazzarella, che però sancirono la legittimità della richiesta avanzata dai rivali e quindi per la vittima non cambiò nulla. Sul fronte della gestione delle case popolari dall’inchiesta è emerso il caso di una famiglia costretta a pagare per tenersi la casa che le era stata assegnata. Una plateale dimostrazione di potenza, basata sul controllo capillare del territorio. Per il procuratore Gratteri «stabilire gli alloggi popolari a chi debbono andare significa gestire il potere ed è tipico del comportamento mafioso. Le famiglie favorite dal clan, quando sarà il momento di votare, voteranno chi verrà indicato dalla camorra. I Licciardi come i Mazzarella, hanno un territorio in cui i cittadini sono ospiti. In ogni attività, lecita o illecita, devono metterci il becco».

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