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10 Dicembre 2025 - 08:23
NAPOLI. Faida familiare a Pianura, tutto da rifare per i presunti mandanti ed esecutori dell’omicidio di Carmine Pesce, il ras trucidato nel lontano febbraio 2004. Ieri sera la quinta sezione della Corte di Cassazione ha infatti annullato per la seconda volta le condanne all’ergastolo inflitte al boss Giuseppe Mele, difeso dall’avvocato Claudio Davino, Antonio Varriale, difeso da Ciro De Simone, e a Antonio Bellofiore, assistito invece dal penalista Mario Fortunato. Il processo torna dunque di nuovo, per la terza volta in pochi anni, davanti a un’altra sezione della Corte di assise di appello. Per lo stesso delitto sono invece ormai da tempo diventati definitivi gli ergastoli inflitti a Ciro Cella e Francesco Esposito.
L’assassinio di Carmine Pesce avvenne nel febbraio del 2004. Si trattò di un omicidio clamoroso, che segnò la definitiva incrinatura nella pax tra le famiglie malavitose di Pianura. Oggetto del contendere, neanche a dirlo, il controllo sugli affari criminali nel quartiere flegreo. In particolare si registrò la spaccatura tra i Pesce, fedeli a Marfella e guidati da Pasquale Pesce (poi pentitosi), e i Mele uniti ai Varriale. Fu per quell’alleanza che i Mele, stando a quanto emerso dal racconto dei collaboratori di giustizia che adesso messo viene messo in discussione dai giudici della Cassazione, dovettero partecipare all’assassinio di Carmine Pesce. Il tutto nonostante il legame di parentela che li univa alla vittima.
Cugini contro cugini: i soldi e gli affari prima di tutto. Da quel momento in avanti i Mele avrebbero cominciato la scalata al potere che li avrebbe portati al controllo di Pianura, inclusa la gestione dell’assegnazione delle case popolari nel quartiere. Senza tralasciare il sempre prolifico business dello spaccio di stupefacenti e l’imposizione del racket ai piccoli e grandi commercianti della zona. Per l’omicidio del cugino Carmine Pesce il boss Mele e i due coimputati sia in primo che in secondo grado avevano rimediato la condanna al carcere a vita, annullata poi dalla Cassazione e ribadita nell’appellobis. Ieri il nuovo “ribaltone”.
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