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L’INDAGINE
17 Dicembre 2025 - 08:10
Nella foto uno degli componenti della gang intercettato dai carabinieri; nei riquadri Alessandro D’Errico, il capo della banda, e Immacolata Michelino
NAPOLI. Senza pietà per le vittime, viste come polli da spennare in barba a ogni sentimento. «Sua figlia rischia da due a quattro anni di carcere». Poi si sentiva un finto grido disperato, registrato da un complice dell’organizzazione: «Aiutami».
Gli specialisti delle truffe agli anziani agivano come un solo uomo: tutti per uno, uno per tutti. Così erano riusciti a spillare alle vittime almeno 300mila euro tra danaro contante e oggetti di valore, 120mila recuperati in uno scaldabagno dov’erano stati nascosti.
A capo della gang c’era una coppia, Alessandro D’Errico e Antonietta Mascitelli detta “Antonella”. I due si occupavano della logistica, anticipavano le spese per le trasferte e si assicuravano la funzionalità del call center con base all’Arenaccia da cui partivano le telefonate ingannevoli. Nel gruppo c’era anche un minorenne.
Paventavano alle vittime incidenti stradali gravissimi in cui erano coinvolti familiari, che avrebbero addirittura potuto comportare gravi condanne evitabili solo pagando ad horas. Ma ieri è arrivata la resa dei conti per i truffatori, con i carabinieri che hanno eseguito 21 misure cautelari al termine di un’indagine coordinata dalla procura di Napoli.
La banda aveva base il centro storico di Napoli, dove c'erano i trasfertisti, ma si muoveva in tutto il Paese: in Liguria soprattutto, ma anche in Lombardia, Lazio, Calabria, Sicilia. I militari dell’Arma di Genova, in sinergia con quelli di Napoli, hanno documentato 33 truffe per un giro di affari di circa 300mila euro: 27 risultano consumate e sei tentate. I componenti l'associazione a delinquere comunicavano tra loro solo via social e in chat, anche quando erano ai domiciliari, in violazione delle prescrizioni del giudice.
Alessandro D’Errico e Antonietta Mascitelli sono ritenuti «soggetti di riferimento per tutti consociati, ai quali fornivano indicazioni sui compiti da assolvere; si occupavano di pagare in anticipo tutte le spese necessarie alle trasferte e in particolare di reperire utenze telefoniche intestate fittiziamente a cittadini extracomunitari, utilizzate per contattare le vittime e per comunicare con i trasfertisti con un sistema a circuito chiuso».
L'organizzazione si assicurava anche la disponibilità de i locali in cui realizzare dei call center per contattare gli anziani e istruire e dirigere gli spostamenti di chi fisicamente si recava poi a casa delle vittime. Nei call center, spesso in b&b, erano impegnate, in modo stabile e quotidiano, almeno tre o quattro persone che avevano il ruolo di telefonisti, che dovevano contattare il numero più ampio possibile di persone.
Anche fino a 500 contatti al giorno, in località preventivamente individuata dai promotori giorno per giorno. I numeri venivano recuperati dai vecchi elenchi distribuiti dai gestori di telefonia fissa. I truffatori infatti si presentavano parlando velocemente, facendo accavallare la voce di presunti parenti nei guai, per far andare in panico le vittime contattate ed esercitando una forte pressione e violenza psicologica.
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