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Il ricordo
23 Dicembre 2025 - 11:31
Angelo Prisco
A trent’anni dalla sua barbara uccisione per mano dei bracconieri, la figura e il sacrificio di Angelo Prisco rimangono ancora nell’oblio istituzionale e popolare. Un caso più unico che raro, soprattutto per un uomo in divisa. Una storia che merita un’opportuna riflessione, oltre che il doveroso ricordo.
Trent’anni sono tanti e ne bastano molti di meno per chi vuol dimenticare, ma non per chi vive ancora di principi e segue ancora l’esempio di chi l’ha preceduto. Trent’anni sono un batter d’occhio nelle misere vicende umane ma, malgrado tutto, a tanti anni di distanza, non mi capacito ancora del fatto che, Angelo Prisco, non ne aveva neanche trenta di anni quando è stato ucciso, ne aveva ventisette ma aveva ben chiaro cosa andasse fatto.
Per i più, Angelo aveva sbagliato, nella forma e nei contenuti, la sua azione, perché era salito da solo per arrestare chi infrangeva la legge, quella di una neonata area protetta, ma la cosa peggiore che potesse fare quel ragazzo, non è stata quella di morire, ma è stata quella di aver creduto in un qualcosa di sacro e purtroppo assai volubile dalle nostre parti, aveva creduto nella legalità, nel rispetto di quel principio per il quale dovesse esistere una regola univoca, un territorio morale oltre che legislativo, comune a tutti, dove tutti avessero pari diritti e, allo stesso tempo, uguali doveri. Ma è cosa ben nota che qui da noi, i diritti li pretendono tutti, ma quando si tratta di rispettare le regole, i doveri diventano imposizioni, e tutti diventano anarchici con la libertà altrui.
Angelo era di San Giuseppe Vesuviano, vi ha vissuto in un periodo nel quale la camorra era la regola e non l’eccezione in quel territorio e la mafiosità era l’humus che l’alimentava e che l’alimenta ancora oggi, anche se in maniera più subdola e nascosta di ieri.
Angelo Prisco aveva deciso, con la sua morale e con la sua divisa, di scardinare quella paratia stagna che separava la nostra terra dal mondo civile, ma ha commesso il più grave degli errori: ha deciso di essere libero, mettendo in luce la cultura della prevaricazione e pagandone le spese al prezzo più alto.
La sua decisione di bloccare due bracconieri, non ha solo posto fine alla sua giovane vita, non solo ha gettato nella disperazione la sua famiglia, non solo ha disilluso tutti coloro che avevano creduto nella nascita del Parco Nazionale del Vesuvio, salutandolo anche come presidio di legalità; Angelo ha fatto l’errore più grave mostrandoci la nostra reale essenza, quella retta da un familismo prepotente che assolve tutto e tutti purché circoscritti all’interno di quel cerchio di appartenenza.

Angelo ha per questo subito l’onta dell’oblio, non prima però di diventare bersaglio degli strali di tutti, perché Angelo, con il suo andare contro corrente, contro una visione edulcorata e fittizia di ambientalismo e del rispetto delle regole, aveva messo in luce l’ipocrisia di una società civile che gli si è rivoltata contro proprio perché ferita e messa a nudo con tutti i suoi difetti e le sue remore.
La damnatio memoriae di Angelo Prisco continua ancora oggi, non rientra nelle vittime innocenti delle mafie perché non c’è una sentenza definitiva a sancirlo, e questo a prescindere dal fatto che non ce ne siano neanche per altri casi, entrati comunque e giustamente a pieno titolo nel triste novero.
Manca il marchio di fabbrica istituzionale, quasi come se il suo sacrificio offuscasse la figura di qualcuno o qualcosa; sembra assurdo doverlo ripetere ancora una volta, ma a sancire l’esistenza delle mafie e della mafiosità non c’è bisogno di una sentenza per ribadirlo, basta scendere per strada o affacciarsi a un balcone per vederne i deleteri effetti.
Purtroppo però, a distanza di trent’anni, la nostra terra non è ancora riuscita a fare i conti con i propri demoni, preferendo accettarli come parte di sé, assimilandoli, e non come un male incurabile da estirpare, spesso giustificando ciò che non può essere più giustificato.
Meglio parlare quindi d’altro, meglio parlare del calcio, di Maradona, delle eccellenze italiche e partenopee, dei Borbone e del nemico di turno sotto le alterne spoglie dell’ostile settentrionale o del subdolo magrebino, meglio coprire tutto con un alibi invece di guardarci dentro, temendo ciò che potremmo trovarci.
Anche per l’omicidio del maresciallo della Guardia di Finanza, Angelo Prisco, così come accade con tutte quelle problematiche che non si ha il coraggio di affrontare, il complottismo è stato un utile servo, tale da creare confusione, tale da creare quella cortina fumogena che separa e, ahinoi! Separerà ancora, i vesuviani dalla normalità, dalla verità e dalla libertà.
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