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Sindacato truffa pensionati <br> e l'Inps tace per tre mesi

Sindacato truffa pensionati <br> e l'Inps tace per tre mesi

Sindacato truffa pensionati iscrivendoli a loro insaputa e prelevando la quota associativa mensilmente dalla pensione, e l'Inps non risponde per tre mesi a chi gli chiede conto del prelievo forzoso ingiustificato

NAPOLI. Pensionati, state molto attenti ai vostri cedolini mensili. In quelle righe quasi sempre poco chiare, zeppe come sono di sigle e numeri degni di un appassionato di enigmistica, si possono annidare pericolose insidie. E, soprattutto, furti.

Lo sa bene un distinto settantenne irpino, andato in pensione dopo molti decenni di onorato lavoro nella sede napoletana della Deutsche Bank. Probabilmente proprio le competenze accumulate grazie al lavoro di quadro direttivo di banca hanno permesso al dottor Rossi (lo chiamiamo così per tutelare la sua vera identità) di accorgersi del sottile inganno nascosto nella sua pensione mensile, sotto forma di un piccolo prelievo forzoso di origine ignota.

Ma venire a capo della truffa non è stato tanto semplice, anche a causa delle pastoie burocratiche dell’Inps. Così, tra cavilli, risposte evasive e richiami ad una malintesa tutela della privacy (ma di chi? dello stesso pensionato truffato?), il dottor Rossi si è ritrovato a vivere una personalissima e paradossale odissea burocratica che ha richiesto mesi di tenacia e pazienza per arrivare infine a scoprire che la piccola somma che gli veniva detratta ogni mese dalla pensione finiva nelle casse di una sigla sindacale a cui lui non è mai stato iscritto. Ma andiamo con ordine.

 

UNA PICCOLA VOCE MISTERIOSA. Questa storia comincia il 4 febbraio scorso, quando il dottor Rossi, spulciando i cedolini della pensione, si accorge di una voce di cui non comprende il senso: 14,38 euro mensili con causale “contributo associativo”. Associativo a cosa?, si chiede il pensionato. Il quale fa la cosa più naturale del mondo: gira la domanda all’Inps. Ma siamo in tempi di “rivoluzione digitale”. Con l’Inps ormai si comunica solo via internet. Così Rossi chiede lumi sul prelievo miserioso al sito internet dell’Inps. E infatti, con efficienza davvero informatica, in soli tre minuti nella mail del dottor Rossi arriva la risposta del servizio “inpsrisponde@inps.it”, con cui si comunica che alla sua domanda era stato assegnato un certo numero di protocollo. Bene, pensò il pensionato, se tanto mi dà tanto, in poche ore un funzionario mi chiarirà ogni dubbio. Si sbagliava.

 

“INPSRISPONDE” NON RISPONDE. Passano due settimane e il servizio “inpsrisponde”, a dispetto del suo nome, tace.

Il 21 febbraio Rossi scrive nuovamente poche righe per sollecitare una risposta alla sua precedente mail. Passano tre minuti e mezzo e l’Inps risponde in automatico con un nuovo numero di protocollo assegnato alla “pratica Rossi”, meno di una riga: «Gentile utente, alla sua richiesta del eccetera è stato assegnato il Protocollo eccetera» (con la maiuscola alla sacra parola “protocollo”).

Passano ancora tre giorni e stavolta “inpsrisponde” risponde davvero. Ma solo per comunicare al “gentile utente” che la sua richiesta è stata inoltrata “alla sede competente”.

Non si specifica altro, né quale sia la sede competente né chi se ne occuperà: si presume l’ufficio provinciale di Avellino, dove il dottor Rossi risiede.

E qui il tempo si dilata ancora di più. Passano ben tre settimane senza che al dottor Rossi nessuno riveli il motivo per cui alla sua pensione vengono sottratti ogni mese 14 euro e 38 centesimi. Poi, quando è quasi primavera, il 18 marzo sul computer del pensionato arriva una nuova mail del servizio “inpsrisponde” (tardi, forse, ma risponde): «Gentile utente, con riferimento alla sua richiesta con numero di protocollo eccetera Le comunichiamo quanto segue: …………………………… La ringraziamo per aver utilizzato il servizio inpsrisponde, non esiti a contattarci per ulteriori richieste». Proprio così, con tanti puntini sospensivi.

 

LA RISPOSTA COI PUNTINI SOSPENSIVI. Il dottor Rossi, del quale non si può dire che non sia una persona paziente, scrive all’Inps copiaincollando il testo della risposta appena ricevuta e aggiungendo una chiosa ironica: «È una barzelletta o una presa per i fondelli oppure una risposta in alfabeto Morse che tradotta vuol dire “su quest’argomento non rispondiamo”?». Dopo cinque minuti esatti “inpsrisponde” lo informa che «alla sua richiesta è stato assegnato il Protocollo eccetera eccetera». E il giorno dopo una nuova mail informa il “gentile utente” che la sua richiesta è stata inoltrata all’ufficio competente. Un’altra volta.

All’ufficio competente le cose si complicano. Così passa più di un mese senza alcuna risposta. Il 22 aprile il dottor Rossi sollecita un chiarimento. Sono passati due mesi e mezzo dalla sua prima richiesta di sapere qualcosa che riguarda il suo cedolino della pensione. Stavolta il numero di protocollo automatico arriva in meno di un minuto. Ma la risposta no.

 

E SI ARRIVA AL MESE DI MAGGIO. A questo punto il pensionato si stanca dell’approccio telematico e ricorre ai vecchi metodi: telefona all’ufficio Inps provinciale e spiega la questione al funzionario responsabile. E così finalmente il 28 aprile il servizio “inpsrisponde” risponde davvero. Al “gentile utente” viene comunicato che l’Inps è in possesso di una “delega sindacale su pensione inserita in data 30 ottobre 2013 e revocata il 21 maggio 2014”.

Ma il dottor Rossi vuole sapere la delega a quale sindacato si riferisce, e soprattutto chi l’ha firmata questa fantomatica delega, visto che lui, il diretto interessato, non ne sa niente. Così prende carta e penna e scrive una classica raccomandata al funzionario Inps di Avellino. Il quale gli risponde il 7 maggio via mail per comunicargli che queste domande vanno presentate su apposito modulo reperibile presso la sede Inps o sul sito internet, poiché, prendete nota, «l’istanza prodotta è carente sia della motivazione che presiede alla richiesta di accesso agli atti, sia dell’interesse connesso all’oggetto della stessa che, com’è noto, deve essere diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata agli atti di cui si chiede di prendere visione/estrarre copia». Come dire che non si capisce perché mai il Rossi abbia l’assurda e inspiegabile necessità di vedere una delega che lo stesso Rossi avrebbe firmato e consegnato all’Inps, grazie alla quale si trattengono ogni mese soldi dalla sua pensione, e che lui afferma essere un falso. Che interesse può avere mai questo pensionato per chiedere così tanto al solerte funzionario Inps? Ma queste sono le norme, pare.

 

L’INPS VUOLE SAPERE PERCHè IL PENSIONATO VUOLE SAPERE...E così il dottor Rossi si è presentato all’ufficio Inps di Avellino e ha compilato il suo modulo, ha parlato con un paio di funzionari ed ha scoperto l’arcano. La delega esisteva davvero, ma la firma non era originale. Era certamente la sua firma, ma fotocopiata. E il sindacato? Era una sigla di categoria a tutela degli agricoltori, mestiere che il dottor Rossi non ha mai esercitato.

 

DA FUNZIONARIO DI BANCA SI RITROVA AGRICOLOTORE. Avuta l’informazione, il pensionato si è diretto seduta stante alla sede avellinese del sindacato in questione, per chiedere notizie della propria iscrizione. Ma le impiegate allo sportello, dopo un controllo al terminale, gli comunicano che il uo nome non risulta tra gli iscritti.

Il dottor Rossi lascia l’ufficio ma dopo pochi minuti viene raggiunto al telefono da un responsabile della sigla sindacale che lo invita a tornare in sede per un chiarimento. Ed è qui che tutto, o quasi, si svela.

Il funzionario spiega al dottor Rossi che mesi addietro si erano accorti che un collaboratore infedele aveva fatto un certo numero di iscrizioni con deleghe fasulle. Loro avevano provveduto appena possibile a revocare le deleghe e cancellare le iscrizioni. Infatti il dottor Rossi era risultato iscritto “solo” per sette mesi e poi era stato cancellato. A suo dire il collaboratore infedele sarebbe anche stato denunciato all’autorità giudiziaria. La firma del dottor Rossi era stata scannerizzata da un suo documento fiscale, probabilmente attraverso il patronato di riferimento del sindacato in questione, con cui il commercialista del dottor Rossi aveva rapporti. Ed era poi stata stampata sulla delega al sindacato.

 

IL COLLABORATORE INFEDELE E LE FIRME FALSE. Il sindacato si è offerto naturalmente di restituire il “maltolto” al pensionato, cosa che infatti è avvenuta. Ma anche se il caso del dottor Rossi si è risolto, molti dubbi restano aperti. Perché il sindacato non ha contattato autonomamente gli iscritti fasulli per informarli, chiedere scusa e restituire le quote sindacali prelevate dalle pensioni? Perché lo ha fatto, nel caso del dottor Rossi, solo quando il pensionato, al termine della sua attività investigativa, ha scoperto da solo la truffa? Perché l’Inps accetta deleghe con firme fotocopiate invece di firme originali? E perché l’Inps non comunica ai pensionati che è arrivata una delega per trattenere quote sindacali dalla pensione, così da mettere sull’avviso gli utenti che si potrebbero trovare iscritti a loro insaputa? E perché poi l’Inps è tanto lento, per non dire reticente, nel fornire le dovute spiegazioni ai pensionati che vogliono vederci chiaro sul proprio cedolino pensione?

 

TROPPI PUNTI ANCORA OSCURI. E quanti casi come quello del dottor Rossi sono successi o sono ancora oggi in piedi, con questo o con qualsiasi altro sindacato, in ogni parte d’Italia? A quanti ignari pensionati viene sottratta qualche piccola somma dalla pensione, a loro insaputa? Si tratta certo di pochi euro ciascuno, ma che messi assieme a tanti altri e moltiplicati per tanti mesi fanno una somma assai ingente.

E chi non ci assicura che il sistema non funzioni a rotazione, cioè sette mesi a un gruppo di persone, poi sette mesi ad un altro gruppo, poi sette mesi ad un altro ancora, in modo da rendere difficile lo smascheramento della truffa? Infatti, se un pensionato dello stesso gruppo di truffati del dottor Rossi facesse un controllo sul suo statino della pensione di questo mese, non troverebbe nulla di anomalo, ma magari è stato truffato per mesi fino a poco fa.

Probabilmente andrebbero riscritte un po’ meglio tutta una serie di norme e regolamenti che disciplinano questo delicato settore. Finché questo non avviene, cari pensionati, occhi aperti e controllate il vostro cedolino mensile. O fatelo vedere a qualcuno che ne capisce.

E se poi dovete protestare con l’Inps, tanti auguri.

 

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