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L'ex ras Paolo Pesce: «Sto morendo, fatemi curare»

L'ex ras Paolo Pesce: «Sto morendo, fatemi curare»

“Chipeppe" è in attesa di un trapianto di fegato a Padova. La denuncia al “Roma": «Ho il cancro, ma c'è chi mi sta ostacolando»

di Eugenio D’Alessandro

NAPOLI. «Tutto ciò che chiedo è di avere la possibilità di farmi curare. Le mie condizioni di salute sono molto gravi. Ho bisogno di un nuovo fegato e un luminare di Padova mi ha dato la propria disponibilità per il trapianto. Ad oggi, però, il Tribunale di Sorveglianza mi ha concesso soltanto un giorno per andare in Veneto, farmi operare e rientrare a Napoli. Non voglio morire, non in questo modo assurdo». È questo il drammatico appello che Paolo Pesce, alias “Chipeppe”, 54enne ras dei Quartieri Spagnoli scarcerato nel dicembre del 2017, lancia alle autorità competenti rivolgendosi alla redazione del “Roma”.
I problemi di salute dell’ex leader delle “Teste Matte” di Montecalvario iniziano proprio in concomitanza con il suo ritorno in libertà. Sul finire del 2017, sottopostosi ad alcuni accertamenti clinici, il 54enne scopre di essere affetto da epatite C con conseguente carcinoma epatico. Una diagnosi impietosa, a fronte della quale gli viene prospettata un’unica soluzione: l’immediato trapianto del fegato. Da un successivo intervento esplorativo, eseguito sempre all’ospedale Cardarelli, Pesce apprende però di avere anche quattro noduli allo stomaco: senza rimuovere prima quelli non sarà quindi possibile procedere al trapianto. La situazione è disperata, il 54enne inizia intanto un primo ciclo di chemioterapia. L’ex ras di Montecalvario non ha però intenzione di arrendersi all’avanzare della malattia. Si rivolge al Policlinico di Padova, dove viene preso in cura dal chirurgo epato-biliare Umberto Cillo, il quale, stando a quanto riferito da Pesce al “Roma”, gli dice che «non tutto è perduto, ma prima di procedere con il trapianto di fegato è necessario rimuovere i noduli formatisi vicino al fegato». Gli viene dunque dato appuntamento al 12 gennaio scorso per il ricovero. L’iter non va però come previsto, anzi: «Il giudice del Tribunale di Sorveglianza - spiega Pesce - mi ha concesso soltanto un giorno di tempo per andare in Veneto, nonostante nel referto fosse indicato esplicitamente che il ricovero era finalizzato all’intervento per la rimozione dei noduli. Ad ogni modo io sono comunque andato a Padova nel giorno stabilito. Mi fanno tutte le analisi del caso, dopo di che, senza che nessuno me ne spieghi il motivo, non vengo più ricoverato. Anzi, mi viene detto che devo rientrare a Napoli entro mezzanotte». Paolo Pesce è infatti attualmente sottoposto al regime della sorveglianza speciale: dunque a orari “controllati” e divieto assoluto di frequentare altri pregiudicati. Il 54enne di Montecalvario non sembra però avere alcuna intenzione di gettare la spugna: «Tutto ciò che chiedo è di essere curato come un qualsiasi cittadino italiano. Quello alla salute è un diritto costituzionale e mi deve essere concesso. Mi rivolgo alla magistratura affinché mi conceda il tempo necessario per la realizzazione dell’intervento chirurgico e la successiva degenza. Ai medici di Padova chiedo invece di non lasciarmi solo. Non voglio morire. Raccolgano il mio appello. Io continuerò a chiamarli sperando in un aiuto». Pesce, ex affiliato al clan Mariano e in seguito capo del gruppo delle “Teste Matte”, è stato scarcerato il 27 dicembre 2017 dopo una lunga detenzione per cessate esigenze cautelari e mancanza di attualità del reato che gli era contestato.

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