Dobbiamo dire addio alla pasta o abituarci ai prezzi più elevati? Ecco come la guerra in Ucraina sarà visibile anche sugli scaffali dei supermercati italiani.

C’è il rischio concreto di non trovare più la pasta sugli scaffali dei supermercati? Probabilmente no. Anche se c’è un’alta probabilità di rallentamento nella produzione. Il primo, inevitabile, impatto sarà però l’aumento del prezzo.

Sull’aumento dei prezzi dei prodotti a base grano ne abbiamo parlato a lungo e in più occasioni, a partire dalla fine dell’ultima calda estate del 2021,

quella durante la quale gli effetti della crisi climatica (caldo record e inondazioni) hanno causato enormi danni alla produzione del grano in tutto il mondo.

Gli effetti della guerra in Ucraina e del blocco del commercio con la Russia avrà effetti consistenti sulla produzione nostrana di pasta.

Infatti il fabbisogno di grano dell’Italia è molto superiore alla nostra capacità di coltivazione.

Questo rende inevitabile l’acquisto di grano Ue o extra Ue e il marchiograno 100% italiano è sempre meno comune.

 

 

Niente più pasta: è tempo di cambiare la dieta italiana?

I fattori di rischio per la scomparsa della pasta - neanche fosse un animale in via d’estinzione - sono molteplici. Come abbiamo ricordato in apertura, da questa estate la crisi del grano, dovuta alla crisi climatica e ambientale, oltre che alla crisi del carburante, si è abbattuta sulla produzione di pasta e di altri cibi a base grano. Le conseguenze sono, ovviamente, un aumento dei costi, più che la scomparsa del pacco di pasta sullo scaffale del supermercato.

Se fino a pochi mesi fa i marchi noti di produzione della pasta sono riusciti a bloccare l’aumento, a partire dal 2022 è diventato sempre più difficile.

Quando parliamo di aumenti, stiamo parlando di una trentina di centesimi, che però vanno calcolati su ogni confezione e per quasi ogni pasto in un ogni casa italiana.

Guardandolo in questo senso più ampio, mezzo kg di pasta a 1,20 euro inizia a essere un segnale del rallentamento della produzione.

Il rischio ulteriore di blocco, causato dalla guerra in Ucraina, non migliora certo la situazione. Anzi, se prendiamo le cifre di acquisto di grano, cereali e mais dell’Italia da questi due Paesi (Ucraina e Russia), il risultato è desolante:

da soli riusciamo a coprire solo una piccola parte della produzione di grano tenero e duro rispetto alla domanda.

 

Come la guerra cambierà le nostre tavole

Facciamoci alcune domande in merito alla produzione del grano in Italia e al suo acquisto, così da fugare ogni dubbio.

 

 

Perché compriamo il grano dall’estero?

È vero che il grano italiano è una garanzia di qualità, il più delle volte, ma semplicemente non c’è abbastanza grano o terreno coltivabile a grano per potersi permettere una produzione dei prodotti con il grano 100%.

Potremmo produrre meno, ma questo vorrebbe dire cambiare del tutto la nostra dieta, eliminando la pasta o il pane dalle tavole.

Pensiamo infatti che lo scorso anno l’Italia ha importato 120 milioni di chili di grano dall’Ucraina, altri 100 milioni dalla Russia, oltre che da Canada, Stati Uniti e il resto d’Europa.

 

 

Quanto grano ci serve davvero?

La produzione massiva di pasta e pane, parte integrante della dieta mediterranea quotidiana, ha bisogno di milioni di tonnellate di grano non lavorato. In Italia ne produciamo 4 milioni di tonnellate, ma il nostro fabbisogno è di 5,5 milioni.

Coldiretti ricorda che siamo un Paese deficitario in fatto di grano, che ne importa circa il 64% del fabbisogno per la produzione di pane e biscotti. Senza contare gli altri cereali e il mais (importiamo il 53%) per sfamare gli allevamenti.

 

 

Quanto costerà agli italiani?

Acquisti, blocchi, crisi, ma insomma alla fine quanto dobbiamo pagare per un piatto di pasta? Ecco, ci arriviamo. La stima è stata fatta da Confagricoltura (Cia). Si tratta di un aumento del 20% per pane, pasta e altri prodotti della farina.