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24 Novembre 2019 - 07:30
NAPOLI. C’è il capitolo del controllo da parte del clan Contini esercitato sull’ospedale San Giovanni Bosco, c’è la storia dell’accesso abusivo al sistema informatico della procura e ci sono una sfilza di reati che vanno sotto la voce di usura, estorsione. Ma salta l’accusa di associazione di stampo mafioso legata all’Alleanza di Secondigliano, mentre resta in piedi quella legata alla cosca del Vasto che viene estesa pure al boss di Giugliano Francesco Mallardo. A cinque mesi di distanza dal blitz che sfociò in oltre 100 arresti, l’inchiesta “Cartagena” si appresta ad approdare in un’aula di Tribunale: la Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha chiuso l’inchiesta e ha ottenuto dal giudice per le indagini preliminari Roberto D’Auria del Tribunale di Napoli la fissazione del giudizio immediato nei confronti di 70 persone. Il dibattimento si aprirà il 7 gennaio dinanzi ai giudici della Vi sezione, collegio C, del Tribunale di Napoli. Questo sempre che gli imputati non decidano di essere processati con la modalità del rito abbreviato: dalla data di notifica dell’atto, gli imputati avranno 15 giorni di tempo per decidere se affrontare il processo ordinario o accedere al “processo breve”. Tra i destinatari della citazione che dispone il giudizio immediato c’è tutto lo stato maggiore del clan Contini: da Giuseppe Ammendola ’o ciuccio, passando per Nicola Rullo sino ad arrivare ad Antonio Aieta (cognato di Contini), Antonio Cristiano, Vincenzo Tolomelli classe 1957, Salvatore Botta senior (il contabile dei Contini). A processo finisce anche Rita Aieta ed Ettore Bosti. Stralciate invece le posizioni di Maria e Anna Aieta. Curiosità che vale la pena di sottolineare: inizialmente la procura aveva contestato l’associazione di stampo mafioso riferita all’Alleanza di Secondigliano a Francesco Mallardo, Maria Licciardi ed Edoardo Contini. L’accusa non è inserita nel giudizio immediato, e con essa è sparito dall’elenco degli imputati anche il nome del boss Eduardo Contini. Nell’elenco non c’è però la dipendente del Ministero della Giustizia Concetta Panico (che all’epoca dei fatti contestati lavorava alla 45esima sezione del gip di Napoli), per la quale si procede separatamente, ma c’è Antonio Pengue, parente della donna, che secondo la procura avrebbe chiesto ed ottenuto dalla Panico di reperire nel sistema informatico della procura notizie inerenti al coinvolgimento di alcune persone in inchieste della procura. Pengue viene indicato dalla procura come inserito nel clan Contini. Non vi è ovviamente il nome di Maria Licciardi, nei confronti della quale il gip aveva disposto l’ordinanza di custodia cautelare in carcere: la misura restrittiva è stata annullata dal Tribunale del Riesame e il presupposto principale per procedere al giudizio immediato è che da parte del Riesame ci sia stata conferma della gravità indiziaria. Per questa ragione la posizione di Maria Licciardi resta stralciata.
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