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11 Settembre 2020 - 19:54
Bisognava aspettare il trionfo della mostra parigina per accorgersi del genio di Vincenzo Gemito? O piuttosto la lungimiranza di Sylvain Bellenger, direttore del museo di Capodimonte che di quella fortunata esposizione è stato il curatore? Certo è che mai prima d’ora l’arte dello scultore partenopeo era stata tanto valorizzata. C’è giustizia a questo mondo finalmente avrebbe detto il Renzo manzoniano visitando la mostra che il museo di Capodimonte dedica al maestro partenopeo, con la curatela di Loup Champion, Maria Tamajo CoItarini e Carmine Romano. Inaugurata ieri, sarà visibile fino al 15 novembre.
E se la mostra parigina mirava a sottolineare l’âme napolitaine, l’anima napoletana di Gemito, questa napoletana tende a ricostruire le fasi di un lungo percorso creativo “dalla scultura al disegno” segnato dalla presenza dei suoi due amori: la francese Mathilde Duffaud e la napoletana Anna Cutolo. Le tre sale che ospitano l’esposizione restituiscono l’atmosfera dello studio vomerese dell’artista, dividendo le opere in nove sezioni: dalla formazione da autodidatta influenzata dal clima verista che si respirava in Italia, ai busti degli artisti, tra cui spiccano quelli di Verdi e Morelli, al viaggio a Parigi dove con l’amico Antonio Mancini conosce De Nittis e gli impressionisti insieme a Mathilde Duffaud, la modella di cui si innamora e che porta con sé a Napoli: una storia intensa ma breve perché sarà interrotta dalla morte della donna.
Il dolore sconvolge l’artista che comincia a dare i primi segni della malattia mentale che lo tormenterà per tutto il resto della sua vita ma che non gli impedirà di realizzare la statua colossale di Carlo V per la facciata di Palazzo reale né di innamorarsi di nuovo. Anche stavolta sarà una modella, Anna Cutolo, a conquistarlo. E sarà la loro figlia, Pinuccia, a restargli vicino negli ultimi 23 anni della sua vita. Agli straordinari disegni di Gemito è dedicata un’intera sezione della mostra che si chiude con una zoomata sul recupero dell’antico, in una rilettura che nasce dal contatto diretto con le opere conservate al Museo Nazionale.
«La miseria, la gloria e la follia, tutti gli ingredienti che la nostra modernità è solita associare all’arte - tiene a precisare Sylvain Bellenger - sono in effetti riuniti in Gemito, che è entrato così nell’universo dei Camille Claudel, dei Van Gogh, degli Antonin Artaud, dei folli devastati o, al contrario, elevati dalla loro follia. Questa leggenda, a sua volta, non è certamente priva di conseguenze per il talento di un artista, ma ci ha permesso di rivalutare il periodo finale della sua produzione, i suoi ultimi vent’anni di vita, in cui il disegno diventa scultura».
Tra i capolavori in mostra c’è il magnifico Medaglione con la testa di Medusa in argento dorato proveniente dal Getty Museum di Los Angeles, il famoso Giocatore e l’altrettanto celebre Pescatore Napoletano. E, ancora il Fiociniere, la Testa di fanciulla, il Malatiello, il Pescatorello, l’Acquaiolo, il Pastore degli Abruzzi, il busto della moglie Anna e quello di Giuseppe Verdi. Ci sono poi i disegni, tra cui La Zingara. In mostra anche la celebre Coppaflora, un lavoro di alta oreficeria recentemente acquisito alle collezioni di Capodimonte grazie a un atto di mecenatismo di cinque imprenditori napoletani, attraverso lo strumento fiscale dell'Art Bonus. L’opera, che era di proprietà di collezionisti internazionali, è stata acquistata dal Museo grazie alle imprese Epm, G&G, Graded, Gruppo Industriale Tecno e Protom.
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