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18 Settembre 2020 - 11:54
I paesi del Sud in fiamme dopo la caduta dei Borbone. Una guerra nazionale e religiosa
Al grido di “Viva ’o rre nuosto!” il popolo delle Due Sicilie, le bande di cafoni e zappaterra, spesso guidati da soldati dispersi e da ufficiali dell’esercito borbonico ormai in scioglimento, che non hanno voluto tradire, rispondono alla chiamata a raccolta di sacerdoti e vescovi per la difesa del trono e dell’altare. “Il 15 luglio [1860] - scrive Francesco Pappalardo - (“Perché Briganti”, Tekna, Potenza 2000) a San Martino Valle Caudina (...) la popolazione assale le abitazioni dei possidenti liberali al grido di “Viva ’u re nuosto, morte a’ liberali, a’ garibaldini”; il 21 vengono assalite le guardie nazionali a San Giorgio la Montagna, e a Salza Irpina viene dato alle fiamme un fantoccio raffigurante Garibaldi. Il 23 luglio a Venafro, un migliaio di contadini irrompe nell’abitato al grido di Viva il Re e abbasso la Costituzione! Simili manifestazioni si verificano anche ad Atina, Casalvieri, Isola Liri e Castelluccio, nel Sorano, a Lacco Ameno, nell’isola d’Ischia, a Casavatore, e a Sant’Agata dei Goti, Morcone e Santa Croce del Sannio”. In Basilicata insorgono Melfi, Venosa, Atella. Il 19 agosto 1860 un reparto delle forze insurrezionali lucane stronca a Melfi una manifestazione legittimista organizzata dal Vescovo Ignazio Maria Sellitti. Altri nuclei legittimisti nascono ad Avigliano, intorno all’arciprete Francesco Claps e alla famiglia Corbo, Ripacandida, Rapolla, Pescopagano, Tricarico. Lagonegro subisce una feroce repressione per i moti antiliberali dell’ottobre 1860. Il vicegovernatore Pietro Lacava ordina di sparare ad altezza d’uomo. In Irpinia, a settembre, centinaia di contadini si sollevano ad Ariano provocando 31 caduti nelle fila liberali. Per rappresaglia Garibaldi invia la brigata Milano della Divisione ungherese Türr, tristemente nota per le fucilazioni sommarie eseguite. A Roccaromana, il 19 settembre 1860, ed a Caiazzo il 21, i contadini si affiancano alle truppe borboniche per spingere oltre il Volturno i reparti del Csudafy e del Cattabeni. Repressione, esecuzioni sommarie, arresti di massa rendono gli insorgenti migliaia: soldati sbandati dell’Armata Reale, coscritti che non intendono servire un altro Re, contadini, braccianti e basso popolo che chiedono il riconoscimento dei diritti sulle terre demaniali. “Fucilo tutti i paesani armati che piglio”, dichiara nell’ottobre del ’60 Cialdini, che detiene il potere civile, come Luogotenente, e quello militare, con il comando del VI Corpo d’Armata. Al suo arrivo a Napoli, dispone di 14 reggimenti di fanteria, 8 battaglioni di bersaglieri e 2 reggimenti di cavalleria, per un totale di 22mila uomini. Diventeranno, nel febbraio 1864, poco meno di 117mila. “Ma se l’azione fu rea - scrive Giacinto de’ Sivo - la reazione è santa. Che vale che i tristi la dicano brigantesca? (...) Se siamo briganti, quel governo che sforza tutto un popolo a briganteggiare è perverso”.
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