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Piazza Spartaco, il diario dettagliato di un protagonista: «Ecco chi sparò»

Piazza Spartaco, il diario dettagliato di un protagonista: «Ecco chi sparò»

Opposte versioni dell’eccidio del 20 gennaio del 1921 a Castellammare di Stabia richiedono un approfondimento storico, per stabilire (alla vigilia del centenario dei sanguinosi avvenimenti) se sia giusto o meno "celebrare" quei fatti come un martirio dei socialisti o un conflitto a fuoco fratricida senza né vincitori né vinti

CASTELLAMMARE DI STABIA. Come si svolse la giornata del 20 gennaio del 1921 in piazza Municipio a Castellammare di Stabia, ribattezzata piazza Spartaco dal primo governo cittadino di sinistra? La storia di chi ha scritto reportage del conflitto armato che si svolse davanti a Palazzo Farnese ci ha consegnato la certezza di 6 morti e un centinaio di feriti, ma i dubbi sulle responsabilità del sangue versato permangono. Vent’anni fa, una targa ha impresso sulla parete del Comune una delle due versioni dei fatti, quella della sinistra dell’epoca che bollò l’accaduto come un “assalto fascista arginato dagli eroi della libertà” che difesero la democrazia alla vigilia della costituzione dei fasci anche a Castellammare di Stabia. Tuttavia, c’è anche chi ha raccontato quella storia in modo diverso e che vale la pena rileggere alla vigilia del centenario di quegli avvenimenti. Riportiamo di seguito lo stralcio del diario di uno dei protagonisti della protesta che volle restare anonimo, ma consegnò al giornalista Gimmo Cuomo tre pagine del suo memoriale. “...le elezioni amministrative dell’ottobre 1920 portarono al Comune i comunisti che festeggiarono la vittoria con cortei, con bandiere rosse e banda in testa, rami carichi di limone carichi di frutta, al canto di “Bandiera rossa” e lancio di invettive agli avversari poltici. Il passaggio delle consegne dal Regio Commissario, prefetto Muffone, ai nuovi eletti avvenne in un clima euforico, il consigliere Martorano, in piedi su uno scanno agitava una foto di Lenin. Fu deciso di intestare a Spartaco la piazza del Municipio. La notte del 16 gennaio 1921 avvenne la sostituzione della targa. Il mattino del 17 gennaio gli studenti della scuola tecnica “Bonito” notarono il cambiamento e in segno di protesta lanciarono n calamaio contro la nuova targa: erano Giuseppe Monti e Michele Santaniello. Alcuni comunisti presenti all’atto li schiaffeggiarono e dissero: «Questo vale anche per i vostri amici». Avevo appuntamento con amici in piazza Municipio, notai un gruppo di studenti che si agitavano. Incuriosito mi avvicinai; i due predetti raccontavano l’accaduto; nel contempo giunsero i miei amici, Gaetano Canino, avvocato, Pasquale Erto, Michele Bocchetti, il capitano Catello Criscuolo; ci facemmo raccontare ciò che era accaduto e stabilimmo di dimostrare contro l’amministrazione comunale. (...) Ci recammo in questura per l’autorizzazione a un corteo. Il sottoprefetto Farina ce lo concesse con la seguente riserva: «fra tre giorni e percorso prestabilito» (...). Fu aperta una sottoscrizione tra commercianti e anticomunisti; si cercava una banda, quelle conosciute non aderirono, dovemmo optare per una sconosciuta (...). A Castellammare non c’era ancora il fascio di combattimento, nella zona c’era solo una sezione a Pimonte. (...). Tre giorni d’intenso movimento, ma si raggiunse lo scopo. La mattina del 20 gennaio, grande adunata presso l’Associazione Democratica. Erano presenti le varie associazioni, con le bandiere, i fascisti di Pimonte erano intervenuti con il loro gagliardetto; si attendevano i Popolari. Silvio Gava era il segretario del partito, e Raffaele Russo del loro sindacato: volevano che il corteo si muovesse dalla loro sede, palazzo Alvino, ma dovettero recedere. La manifestazione l’avevamo organizzata noi e non doveva avere sfondo politico. In Villa Comunale, dalla Cassa armonica lessi il comunicato e l’ordine di percorso: il ritorno per via Bonito e, senza sosta in piazza Municipio, attraverso via Mazzini, il ritorno al punto di partenza. Tutto si era svolto con la massima tranquilittà, si seguiva il binario della ferrovia, la testa del corteo era giunta in vista di piazza Municipio, sulla torretta di Palazzo Farnese fu issata la bandiera rossa con falce e martello, dai balconi stipati di compagni, con megafoni si lanciavano invettive contro i dimostranti e si invitava ad avvicinarsi. I carabinieri formarono un cordone dall’angolo dell’ospedale San Leonardo (che all’epoca aveva sede in piazza Municipio, ndr) al portone del Seminario per impedire ai dimostranti di aderire all’invito dei facinorosi, diversi audaci riuscirono ad attraversarlo. Dal Comune si sparava, cadde il maresciallo dei carabinieri, Clemente Carlino. Con Renata Fusco e Andrea Cosenza, volevamo ripararci nel Seminario, il portone vigilato da un agente di Finanza fu chiuso, rimanemmo esposti ai proiettili. Fui ferito alla gamba destra, la Fusco atterrita non cessava di battere il martelletto, il portello si aprì. Dal terrazzo sovrastante l’officina dell’acquedotto si poteva vedere la piazza cosparsa di rottami di marmo. La notte avevano divelto tutti i divisori degli orinatoi per farne proiettili, le scale della cattedrale, occupate da gente venuta da Gragnano, che , malgrado la festività di san Sebastiano, era scesa a dar man forte ai compagni. I carabinieri, visto cadere il loro maresciallo, aprirono il fuoco contro il Comune e la Cattedrale, da dove erano partiti i primi colpi. Cessato il fuoco, le Forse dell’ordine entrarono nel Palazzo comunale, impedendo a tutti di uscirne”.

«Il bilancio fu agghiacciante - scrisse Gimmo Cuomo vent’anni fa, traendo spunti dai libri “Diario di uno squadrista”, Editrice Rispoli, del giornalista e critico d’arte Piero Girace e “Piazza Spartaco” del prof Antonio Barone - Oltre a Carlino, morirono il lattaio Sabato Amato, il marinaio Michele Esposito e gli operai Vittorio Donnarumma, Raffaele Viesti e Francesco Laruscia. Un centinaio i feriti. Tutti gli imputati saranno assolti».   (2. continua)

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