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09 Ottobre 2020 - 15:55
Ventinove vasi attici del patrimonio di famiglia dell’ex sindaco arricchiranno il Museo del Sannio
È il sindaco che ha puntato tutto sulla cultura, portando Benevento alle vette delle grandi città d’arte, fondando l’Università del Sannio. Ma anche il Conservatorio e la Scuola Allievi dei Carabinieri, la creazione della rassegna “Benevento Città Spettacolo”. Al professor Antonio Pietrantonio (nella foto) sono grati tutti i beneventani e la Campania gli è riconoscente perché le sue intuizioni e la realizzazione di tante opere a sfondo culturale hanno arricchito l’intera regione. Ora, Pietrantonio sta per imprimere un’altra profonda traccia nella storia del Sannio: a breve donerà un favoloso capitale archeologico che si appresta a introdurre nel Museo Sannita. «Sono 29 vasi attici ereditati dalla mia famiglia, dai predecessori di mio nonno prima del 1939, anno dal quale è stabilito per legge che ogni reperto emergente dal sottosuolo appartiene allo Stato» spiega l’ex sindaco democristiano del decennio 1982-1992.
Professore, lei è stato uno dei sindaci più longevi della nostra storia, ma ha anche dimostrato di essere il più illuminato sulle sorti della città di Benevento…
«Ho amministrato 11 anni di seguito, eletto 6 volte senza interruzione, quando non c’erano limiti alla riproposizione alla carica di uno stesso sindaco…».
Con quale vantaggio per l’amministrazione cittadina?
«Beh, ho avuto l’opportunità di poter assistere alla realizzazione di tante opere in cantiere che, solitamente, altri sindaci non possono vedere. Anche perché non durano tanto da riuscire ad accompagnare i progetti proposti nella loro completa esecuzione».
Era nelle sue previsioni tutto questo?
«Espressi i miei intenti nella mia prima relazione programmatica e ricordo che destai scandalo perché tra ascoltatori e lettori erano abituati a ricevere un documento che rappresentava l’elenco di una quantità di opere che avrebbero potuto realizzare anche i sindaci che avevano tenuto in mano le sorti della città nel passato. Eravamo tutti abituati ad ascoltare quell’elenco che avevamo denominato la “bibbia delle buone intenzioni”».
Ma lei cambiò il registro…
«Infatti, non seguii quella prassi, ma espressi le mie riflessioni sul ruolo più ampio che Benevento avrebbe potuto assumere in Campania e nel Paese, partendo dalle sue emergenze storiche e archeologiche, che sono tante e straordinarie e ancora non conosciute abbastanza. Ci impegnammo, come amministratori, di rendere visibili queste realtà, prima ai beneventani e poi agli altri, perché vedessero questa città come un contenitore di cultura al quale fare riferimento. Ecco, io mi interrogavo sul ruolo di Benevento nel panorama della cultura in Campania e in Italia».
Partendo da quale iniziativa?
«L’obiettivo principale fu quello di creare una “cartina di tornasole” dei miei propositi. E questa fu la creazione dell’Università del Sannio, che ho visto realizzata. Così come il Conservatorio di Musica e poi la Scuola di Allievi dei Carabinieri».
Per lei tutto questo ha rappresentato una ragione di grande soddisfazione...
«Beh, più di tutto lo è stato il manifesto internazionale di “Benevento Città Spettacolo” che con la direzione artistica di Ugo Gregoretti raggiunse il massimo livello di rassegna del teatro in Italia, più originale persino del Festival dei Due Mondi di Spoleto».
Com’è stato possibile?
«Fu grazie alla intuizione e alla capacità di impostare la rassegna sulla proposta di un tema che, ogni anno, stimolava a trovare testi che l’accompagnassero e che prevedeva sempre 4-5 novità teatrali. Eventi che richiamavano i maggiori critici di teatro e culturali, per dirne qualcuno, Ghico De Chiara, Enrico Fiore, con il loro contorno di amici. Sono state stagioni teatrali uniche».
Mi sembra ancora emozionato al ricordo.
«Devo dire che ho provato sincera commozione quando i miei concittadini mi telefonavano da tutta Italia per avere letto nelle stazioni delle grandi città il manifesto ventiquattro fogli che annunciava il programma di “Città Spettacolo”. I beneventani emigrati, che erano dovuti partire e abbandonare la propria terra mortificati, perché priva di prospettive e opportunità, si vedevano rappresentati in un programma che trovavano incellofanato e distribuito da giornali come “l’Espresso” e “Panorama”».
Ha altri ricordi di pari soddisfazione?
«Sì, come no. Pensi a quale grande sorpresa fu per me quando, in occasione del bicentenario della Rivoluzione francese, nel 1989, Benevento fu presente in una delle manifestazioni sugli Champs-Élysées, dove furono rappresentati i 6 archi più famosi nel mondo e, insieme con l’Arco di Trionfo c’era, fotografato e montato in 3D, a grandezza naturale, il nostro Arco di Traiano… E io fui invitato a Parigi per l’occasione. Abbiamo vissuto giorni di legittimo orgoglio».
Orgoglio che ora lei dona di nuovo ai beneventani, con la sua collezione di vasi attici al Museo Sannita.
«Sono 29 vasi, tutti singolarmente catalogati dal Mibact, che tra meno di un mese saranno trasferiti al Museo del Sannio. Stiamo allestendo il contenitore. Ora sono custoditi in casa mia».
Ma come si ritrova in possesso di questo capitale archeologico?
«Fu mia madre a custodire i vasi che erano stati acquistati dalla mia famiglia, raccolti e catalogati prima del 1939. Dal 1939, infatti, la legge ha stabilito che tutto ciò che viene rinvenuto sotto un terreno anche se privato, diviene di proprietà dello Stato. Alla morte di mia madre, ritrovammo in cantina, amorevolmente custoditi da lei in una cassa, i vasi che nel 1991 dichiarai e denunciai al ministero dei Beni culturali».
E non le dispiace staccarsi da questi ricordi, per giunta di così grande valore per la sua famiglia? Non dispiace anche ai suoi congiunti?
«Reputiamo tutti che sia più prestiMuseo Sannita, Arco di Trionfo, Parigi, Arco di Traianogioso e gratificante che vengano esposti in una vetrina del Museo con sopra scritto “dono del professor…”, piuttosto che tenerli in casa».
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