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13 Marzo 2021 - 22:22
È un giorno di lutto per la scuola napoletana. Gianfranco Sanna (nella foto), dirigente del Liceo Giuseppe Mazzini, non c’è più. È finito ieri mattina, stroncato, a cinquantanove anni, da una malattia che non gli ha lasciato tregua. Nonostante la sua determinazione a combatterla. Nonostante la pazienza con cui si è sottoposto alle cure. Nonostante la nonchalance con cui ne parlava, quasi fosse un ospite indesiderato che però si poteva gestire.
«Domani vengo a scuola per un paio d’ore, poi scappo perché ho la terapia» diceva, come se fosse la cosa più naturale del mondo andare a lavorare e poi, per una mezza giornata, occuparsi del cancro che ti sta succhiando il fegato. Il fatto è che a lui piaceva stare a scuola. Aveva creato un bel clima collaborativo e sereno. Così, anche in piena pandemia, non aveva mai smesso di essere attivo, presente, concreto. Era infatti un organizzatore nato, abilissimo nell’ottimizzazione dei tempi e degli spazi, ma anche capace di adeguarli alle esigenze di ognuno. Possedeva il dono della leggerezza, sicché quando si prospettava un problema sapeva stemperarlo con una battuta. E forse era proprio questa la peculiarità che lo rendeva una persona speciale: quel sorriso un po’ sbruffone sulla faccia da eterno ragazzo che spiazzava suoi interlocutori.
Entravano in presidenza aspettandosi di incontrare un burocrate paludato e invece si ritrovavano davanti una persona capace di ascoltarli e accoglierli. Non era raro, passando per via Solimena, vederlo davanti al cancello a scambiare quattro chiacchiere con i professori, con i bidelli o con qualche genitore che, approfittando della sua gentilezza, aveva una richiesta da sottoporgli. Gli piaceva stare a scuola perché amava i giovani, dopotutto si sentiva ancora uno di loro, specialmente quando gli capitava di andare in palestra e scambiare qualche passaggio di pallavolo: allora si trasformava, ridiventava quello che gli era sempre piaciuto essere, un atleta, e faceva squadra.
«Si è messo a giocare come fosse uno di noi» commentavano increduli i ragazzi e lo adoravano. Li conquistava così, giocandoci assieme e ridendo con loro. Quei ragazzi che da ieri non hanno smesso di portare fiori sotto lo striscione affisso fuori la scuola: “Grazie Preside” c’è scritto. Commoventi i loro bigliettini: “Grazie di cuore per aver reso la nostra scuola un luogo così speciale”, “La ricorderemo sorridente come sempre”, “Lei era molto più di un preside”. E poi c’è quello dei quattro studenti rappresentanti di istituto: “Oggi è uno dei giorni più bui e cupi per il nostro Istituto, la notizia inaspettata ha completamente travolto tutti, professori, studenti e personale. La tristezza era palpabile anche a distanza. Questo ci deve far riflettere su quanto il nostro preside fosse un uomo straordinario, perché oltre ad essere “il preside”, era un amico, una persona con la quale confidarsi, un animo nobile e buono. Noi vogliamo ricordarlo per la bellissima persona che era, i sorrisi che ogni mattina ci regalava e per le lamentele che doveva sorbirsi senza dare mai segni di insofferenza. Una persona pacata e rispettata da tutti”.
Non si contano le attestazioni di affetto da parte dei docenti e del personale tecnico e amministrativo : “Un uomo buono - scrivono - un uomo speciale, un uomo raro per sensibilità, intelligenza, bontà, conoscenza. È stato un onore conoscerlo, è stato un onore lavorare con e per lui. Ha reso il Liceo Mazzini di Napoli una comunità felice, fondata sul rispetto e sulla solidarietà. Ci ha insegnato a lavorare insieme, a ispirarci al bene comune, a superare col sorriso, l’empatia e la fiducia difficoltà e problemi. Ad unire e non a separare. È una perdita immensa, un dolore infinito e profondo. Caro preside, grazie”.
Chissà cosa avrebbe pensato lui, ad essere al centro di queste calde dichiarazioni di affetto. Probabilmente avrebbe sdrammatizzato, scherzandoci su: era il suo modo di mascherare la commozione. Negli ultimi tempi però non gli riusciva più e allora gli occhi gli diventavano liquidi e si scioglievano in una lacrima. Ma era solo un momento e poi ritornava a sorridere. È forse questa l’eredità più bella che lascia alla sua scuola: la capacità di sorridere sempre, anche dietro le lacrime. Gianfranco Sanna lascia la moglie Nunzia Mallozzi e il figlio Giovanni cui va l’abbraccio dolente di tutta la comunità scolastica e della redazione del Roma.
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