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15 Luglio 2021 - 21:08
Il voltafaccia ai Borbone, il passaggio ai francesi, l’attacco contro i propri commilitoni. Nel 1795 combattè a Genova con gli inglesi contro la flotta dei rivoluzionari francesi. Nel 1799, nel canale di Procida, agli ordini dei francesi attaccò le navi inglesi e napoletane
Francesco Caracciolo nacque a Napoli il 18 gennaio 1752. Era figlio del Duca Michele, dei Caracciolo di Brienza. Si formò nel periodo di sviluppo della marineria realizzato dal segretario di Stato John Acton e voluto dai re Carlo e Ferdinando IV di Borbone. Furono varate nuove navi e uno spirito di iniziativa permeò la Marina Mercantile. Frequentò la Real Accademia di Marina e fu imbarcato su un vascello inglese completando la formazione in azioni belliche. Al comando della Tancredi, nel marzo 1795, partecipò con l’ammiraglio William Hotham alla battaglia di Genova contro la flotta rivoluzionaria francese. A settembre 1798 Horace Nelson, che aveva sconfitto i francesi ad Abukir, in Egitto, ricevette a Napoli una trionfale accoglienza. Caracciolo si congratulò con l’ammiraglio inglese, per quanto ne fosse un po’ geloso. La gelosia dovette aumentare quando il re preferì imbarcarsi sulla Vanguard di Nelson per lasciare Napoli il 21 dicembre 1799 alla volta di Palermo, mentre le truppe francesi stavano per entrare in città. Di lì a poco, sarebbe stata proclamata la Repubblica Partenopea. Al Sannita di Caracciolo mancavano 300 uomini e neppure la paga doppia li convinse a tornare a bordo; furono imbarcati 25 marinai inglesi e lo stesso Caracciolo definì la sua una ciurma scarsa e cattiva. Le condizioni atmosferiche durante la traversata furono pessime e l’ammiraglio napoletano diede prova di grande perizia. Dopo l’arrivo a Palermo, chiese al re di poter tornare a Napoli per occuparsi dei beni che la repubblica minacciava di confiscargli. Ferdinando IV glielo concesse, ma lo mise in guardia dall’occuparsi di politica e dai tranelli dei repubblicani, aggiungendo che presto avrebbe riconquistato il Regno. Caracciolo, invece, diventò direttore generale della esigua forza navale repubblicana e nel canale di Procida il 18 maggio 1799 attaccò una squadra anglo-napoletana di cui faceva parte la nave Minerva, che un tempo comandava. L’azione fu portata alle stelle dal “Monitore Napoletano” di Eleonora Pimentel Fonseca, ma in realtà fu modesta. Le condizioni meteo costrinsero le imbarcazioni alla ritirata e l’azione non impedì il blocco navale del golfo. Il 19 giugno 1799, l’effimera Repubblica Partenopea ebbe fine ed il re manifestò al Cardinale Fabrizio Ruffo, che aveva riconquistato il Regno, la sua contrarietà per le concessioni fatte ai ribelli. Fu duro con Caracciolo, che definì “una vipera arrabbiata, esperta di tutti i buchi delle coste del Regno”. Va riconosciuto al Ruffo di aver cercato di attenuare il clima di odio che si era creato a Napoli e di aver offerto a Caracciolo - che si era nascosto nei possedimenti materni - un salvacondotto. Caracciolo fu catturato da un emissario della Regina e portato sulla Foudroyant, l’ammiraglia di Nelson. Si esigeva una corte marziale, che fu convocata il 29 giugno, composta da cinque ufficiali napoletani. Presidente, il Conte Giuseppe de Thurn. Si giudicava un ammiraglio accusato di alto tradimento, reo di azioni militari contro la bandiera per cui aveva giurato. La sentenza fu condanna a morte e fu eseguita il giorno dopo sulla Minerva, tramite impiccagione. Caracciolo era un uomo di valore e forse poteva essere trattato con maggior clemenza ed esiliato, ma vanno comprese l’irremovibilità di un re tradito dal suo ammiraglio e l’avversione di una regina la cui sorella, Maria Antonietta di Francia, era stata uccisa da quelli che professavano le stesse idee per le quali Caracciolo si era schierato. Quanto a Nelson, eseguì il principio di ogni Marina Militare degna di tale nome: un reo di tradimento era passibile di pena capitale. Caracciolo potrebbe essere stato ricattato dal governo repubblicano. Ma gli altri ufficiali della Marina Napoletana restarono fedeli a Re Ferdinando IV.
MA NON C'È GLORIA PER UN SOLDATO INFEDELE ALLA SUA BANDIERA
di Massimo Ellis
Secondo Pietro Colletta, Re Ferdinando IV, ancora in rada a Napoli al ritorno da Palermo, avrebbe visto il cadavere di Caracciolo in mare venirgli incontro e sarebbe inorridito. Ma l’episodio - scrive Harold Acton - era stato narrato da un marinaio ed aveva prodotto “molte fantastiche versioni”. È certo, invece, che il re dette ordine di seppellirlo cristianamente. Al Ponte della Maddalena, Caracciolo aveva cannoneggiato i napoletani, aveva sparato contro la sua bandiera, contro la nave che aveva comandato, aveva tradito la fiducia del re che solo sei mesi prima aveva scortato in Sicilia. L’onore di un militare si chiama fedeltà. Per Caracciolo si poteva invocare la pietà cristiana, ma in qualunque Nazione un militare traditore sarebbe stato passato per le armi.
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