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17 Febbraio 2022 - 08:05
La storica dell’arte Angela Carola Perrotti ha ricostruito un Dessert del 1785
Alla Corte dei Borbone di Napoli, la tavola si arricchiva con piatti decorati con le vedute del Regno, le scoperte archeologiche, e raffinati Dessert (centro tavola) con i biscuit (porcellane) della Real Fabbrica Ferdinandea. La storica dell’arte Angela Carola Perrotti ha ricostruito nei dettagli un Dessert del 1785, l’unico pervenutoci completo, nel saggio “L’arte di imbandire la tavola e il Dessert per 60 Coverti dei Borbone di Napoli” (Grimaldi & C. Editori).
Come erano allestite le tavole dei Borbone e dei nobili rispetto alle altre Corti europee?
«Cambiava anzitutto la maniera di servire il pasto. Nel pasto “alla francese”, in voga fino al 1810-12, si allestiva la tavola, e poi vi si collocavano tutte insieme 18-20 portate, anche di gusti disordinati: dolce, salato, qualcosa di freddo e di caldo. Venivano messe in piatti di forma diversa. Ai due capotavola c’erano le zuppiere ed il maestro di cerimonia preparava i piatti per i cibi caldi che venivano serviti ai commensali. Ciascuno si faceva il proprio menù. Verso il 1810, a Parigi, e verso il 1812 a Napoli, un ambasciatore della Russia organizzò il primo pranzo “alla russa”, con un menù come quello che abbiamo oggi. I commensali non sapevano che cosa sarebbe stato servito. Quando a Napoli arrivò Gioacchino Murat l’influenza francese divenne maggiore. Per i napoleonidi, c’era solo Napoleone… Il “Dessert per 60 coverti” che ho ritrovato si è salvato perché è l’unico che la Regina Maria Carolina trovasse di suo gusto, ed è rimasto quindi in uso alla Corte di Napoli».
Che cosa distingueva i pranzi alla Corte dei Borbone tra ’700 e ’800?
«Purtroppo, i documenti sono andati perduti. Non sappiamo se per la distruzione dei documenti dell’Archivio di Stato, o se, invece, i documenti mancassero del tutto perché alla nostra Corte non si dava molto importanza a queste cose. La vita era brillantissima, ma vissuta giorno per giorno. E non sentivano la necessità di immortalarla in dipinti o con elenchi di menù. Nell’800, invece, si è cominciato a dare più importanza a queste attività e ci sono dei documenti. Ma complessivamente, abbiamo poche notizie».
Quindi una ricostruzione fondata dell’“arte di imbandire la tavola” può partire solo dal tempo di Ferdinando IV?
«Sì. Il resto è molto per sentito dire, si basa su lettere di ambasciatori, ma sono testimonianze anche un po’ di parte. Non abbiamo documenti di prima mano».
Che cosa resta a Napoli e nelle case meridionali di queste tradizioni?
«L’abitudine di collocare delle porcellane al centro della tavola. Mi ricordo cene degli anni ’50, di una generazione che adesso non c’è più e che conservava questo retaggio. Pur senza sapere che cosa fosse il Dessert, avevano ereditato dai nonni la tradizione di apparecchiare la tavola con delle porcellane. Poi ha prevalso il centro tavola con i fiori, che è un’abitudine più moderna».
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