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Maestro, ci mancherai

Maestro, ci mancherai

Ci pensava sempre. Ogni suo gesto, ogni. pennellata, ogni graffio sulla tela erano uno sberleffo alla morte. In quella carica creativa, nell’impeto con cui tracciava, come solo lui sapeva fare, quei solchi di colore intenso e pastoso, c’era tutta la sua passione per la vita, l’ansia di raccontarla a tutti, il bisogno di allargare il suo sguardo luminoso sul mondo. Questo era Gianni Pisani (nella foto a destra). Pittore, come amava definirsi, anche se con la scultura aveva dato prove eccellenti. Ma ora non è più. Perché quella morte esorcizzata mille volte è arrivata l’altra notte, come una ladra e se l’è preso. “Questa volta, amore, ha vinto lei” ha scritto la moglie Marianna su facebook nell’annunciare la sua fine, alludendo a una memorabile performance in cui Pisani sfasciava a colpi d’ascia una bara e concludeva esclamando: “Questa volta ho vinto io”. Poi, in un post successivo, è stata più esplicita: “L’amore della mia vita mi ha lasciato” ha scritto. E non c’è stato più alcun dubbio. Il Maestro, l’artista incontenibile, il provocatore inarrestabile se n’è andato.

È stato lento il suo addio al mondo, cominciato già da qualche anno, con una malattia che lo ha consumato risucchiandogli la memoria. Nel 2016 al Pan l’ultima mostra pubblica con i lavori più recenti di una carriera cominciata sessant’anni prima, nel 1965,  con una Crocefissione con cui vinse ben due premi nazionali e poi tutte le tappe che definiscono un artista affermato: la cattedra a Brera, la direzione per 14 anni dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1995, e poi le mostre, la grande retrospettiva a Palazzo Reale, l’accoglienza trionfale a New York in un viaggio che diventa oggetto di un allegrissimo ciclo di dipinti, le numerose commesse pubbliche e private.

Gianni Pisani era vulcanico, egocentrico come solo agli artisti è consentito esserlo, eppure straordinariamente generoso quanto si trattava di raccontarsi attraverso le sue opere. Ha inventato un linguaggio tutto suo, in cui la tradizione pittorica europea si incontra con gli stimoli dell’Informale e del Concettuale per riproporsi in una forma delicatamente narrativa. È un linguaggio fatto di cromatismo intenso e linee decise, di figure leggiadre e di scatti diabolici, di gatti, uccelli e stelle, di mari e arcobaleni, di angeli e bambole.

Gli affetti, i legami familiari, i luoghi del cuore diventano la sua chiave di lettura del mondo e di se stesso. E si racconta senza pudore: è un lupo pronto ad azzannare chi gli fa del male, oppure un “pittore che si porta la luna”, o ancora “un principe dello spazio”.

«La vita è volo» diceva con convinzione, saltellando come un folletto fra un quadro e una scultura della sua grande casa-studio. E con entusiasmo ti metteva a parte del suo universo creativo di cui facevano parte la bionda chioma della moglie Marianna e il gommone sul mare di Capri, il figlio Marcello e le nipotine, le scarpe del padre e la tenerezza della madre, gli amici con cui giocava a carte una volta alla settimana e i detrattori che lo attaccavano senza capirlo.

Passionale in maniera totalizzante, era profondamente consapevole della potenza della sua arte. «Un quadro è una chiavata» diceva per sottolineare provocatoriamente l’impeto creativo da cui si sentiva mosso. E provocatorio sapeva esserlo, eccome, ma sempre con ironia, con un tocco di sbruffoneria un po’ cialtronesca con cui prendeva in giro innanzitutto se stesso. Da giovane si era divertito a rappresentarsi nel pieno della potenza sessuale, sottolineando la prestanza del fisico e illustrando con dovizia di particolari la vivacità del proprio immaginario erotico; in seguito si è dipinto circondato dai suoi gatti e dalle facce dei familiari; da vecchio, infine si è ritratto a quattro zampe, senza paura di mettere in luce la propria fragilità.

Ma si farebbe torto a Gianni Pisani se nelle sue opere si leggesse soltanto la carica dirompente del provocatore o il gusto sottile del professionista della satira o, ancora, l’autocompiacimento dell’artista arrivato. Sottesa alla sua ricerca espressiva c’è invece una spiritualità profonda, un’intima e sofferta ricerca morale. Lo si legge bene nell’ampia produzione che ha dedicato alle storie di Cristo. Dalla Via Crucis di Santa Chiara, all’Ultima Cena di Santa Maria alla Sanità, passando per la imponente Madonna (nella foto), Gianni Pisani mostra una sorprendente sintonia con la fede, alla quale si accosta con l’umiltà e lo stupore di un bambino che ha bisogno non solo di un nonno, che gli spieghi lil mistero dell’amore incompreso e del dolore ingiusto, ma anche di una mamma che lo tenga in braccio. Non è un caso perciò, che fra le figure sacre, compaiano i volti di don Bruno Forte, il sacerdote che lo apre ai misteri della fede, e quello sua madre: nella Madonna della Sanità  Gianni Pisani rappresenta infatti la sua mamma.

Artista potente Gianni Pisani. Coraggioso e spavaldo “portatore di traumi”, come lo definiva Lea Vergine; ma anche intellettuale semplice, sincero, autentico, immune “dagli agguati del conformismo” come gli riconosceva Gillo Dorfless. Artista capace di essere profondamente e convintamente un uomo, consapevole della propria grandezza ma pure del proprio limite.

Come quando, con i resti della bara che aveva distrutto con l’ascia, decise di realizzare “Il dondolo”: raccolse l’ascia e qualche pezzo di legno, vi unì della stoppa e poggiò tutto su un telaio unendovi la voce registrata di sua madre che gli cantava la ninna-nanna. Così quella che era stata una bara era diventata una culla, un segno di morte era stato trasformato in un segno di vita. Una premonizione? Un desiderio? Una speranza, certo. Per lui. Per tutti.

Ed è così, addormentato in quella culla che vogliamo pensarti. Caro, dolcissimo, spietato pittore dell’anima nostra, quando alle 11 di questa mattina giungerai nella Basilica di Santa Maria alla Sanità per farti salutare un’ultima volta.

 

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