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19 Luglio 2022 - 18:47
Paola Villani, autrice napoletana è una delle grandi maestre del saggio italiano. Professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea è neo Direttore del Dipartimento di Scienze Umanistiche del Suor Orsola Benincasa. Paola Villani è una docente che incanta i suoi allievi durante le lezioni che non parlano solo di letteratura, ma anche di arte, di psicologia, di cultura a 360 gradi. È autrice dell’interessante libro “Ritratti di signore. I galatei femminili nell’Italia Belle Époque e il caso Serao” (Franco Angeli) su cui ci soffermiamo in questa chiacchierata estiva.
Potrebbe accennarci un po’ la trama di “Ritratti”?
«Più che trama è un percorso. È un saggio che attraversa tutta la scrittura dei manuali di comportamento tra fine dell’800 e i primi del ’900 che hanno accompagnato in qualche modo la costruzione dell’italiano, fatta l’Italia occorreva fare gli italiani perbene. Quindi la trattatistica di comportamento, che ha origine antiche e nobili che risalgono al Cinquecento, assume in questo periodo un valore anche civile, di costruzione dell’italiano».
Parliamo delle scrittrici dopo poco l’Unità.
«La cosa singolare è che in quegli anni questo tipo di scrittura diventa appannaggio delle scrittrici, questi galatei o manuali di saper vivere accompagnano quello che poi è un processo più ampio che è l’ingresso delle donne all’interno del mercato editoriale».
Da donna che legge a donna che legge e scrive?
«Sì. Se prima la donna che leggeva è un’iconografia classica che viene ripresa in età romantica, la donna che scrive, soprattutto la donna che pubblica nasce alla fine dell’800, in quella che si viene a costituire come, definita da Horkheimer e Adorno, “industria culturale” e con questa si era capito che le donne leggevano e quindi che a donne che leggono occorreva proporre scritture di donne».
Quindi la manualistica di comportamento segna l’ingresso delle donne nell’editoria.
«Sì, ma la cosa più interessante che viene fuori è che la loro era una scrittura che accumunava tutte, donne impegnate e intellettuali. Quello che è singolare è che con questi manuali si costruiva l’immagine dell’arte italiana che doveva rispondere molto più del Settecento - epoca in cui le donne erano molto più eversive - a un canone etico-sociale della donna domus mundus, l’angelo del focolare. È la madre degli italiani del secolo borghese fondato sul lavoro e sulla famiglia, una donna che aveva un ruolo più antico di quello del ’700. Questi manuali rispettavano il canone di donnamadre e non di donna-donna ma in essi emergeva anche un’immagine eversiva in cui fingendo di dover cristallizzare delle norme, in realtà a volte le sovvertivano, ed ecco perché poi non si poteva non arrivare al caso Serao».
Dal suo libro emerge una Serao spregiudicata donna di società che ha praticato e codificato queste regole.
«Esatto. Seppure negli studi sulla Serao resta molto diffusa l’immagine che permette di tenere anche un luogo comune, cioè l’idea di una donna-uomo dell’autrice de “Il paese di Cuccagna”. Nel suo “Saper vivere…” a cui lavora per un venticinquennio emerge una donna che sa vestire i panni della donna. Un gioco di ruoli. Ricordiamo la testimonianza di Edith Wharton che riconosceva come anche nei salotti inglesi e francesi la Serao di aspetto decisamente non bello appena prendeva la parola governava la conversazione».
Dai suoi saggi fa trasparire la stima per le sue eroine. Ma come mai solo saggi e non anche romanzi?
«In verità mi sono dedicata alla scrittura narrativa una volta ma senza nome, forse anche io come le donne di fine Ottocento ho preferito celarmi dietro ad uno pseudonimo. Nella scrittura narrativa l’autore non si nasconde e in qualche modo anche quando il romanzo non è autobiografico lo è sempre. La scrittura saggistica lavora invece sull’auto-occultamento, sull’autocensura, si dà voce agli altri e non a sé».
Noi speriamo in un suo romanzo storico.
«Lo faremo, lo faremo tanto la vita è ancora lunga».
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