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«Non perdiamo un pezzo della nostra identità»

«Non perdiamo un pezzo della nostra identità»

Giovanni Carusio, quarta generazione di artigiani della porcellana lancia l'allarme: «Qualità a rischio se non si approva un disciplinare di produzione. Troppa burocrazia e tempo perso»

I bisnonni lavoravano per manifatture prestigiose come Chiurazzi e Mollica. Giovanni Carusio (nella foto), quarta generazione di artigiani della porcellana per parte di padre e di madre, continua la tradizione di famiglia nel laboratorio in via Ponti Rossi, a Napoli, vicino al Bosco di Capodimonte, dove sorgeva la Real Fabbrica di Carlo di Borbone. Sullo stato della porcellana napoletana non nasconde i problemi, ma è ancora ottimista.
Come giudica la qualità della produzione attuale?
«La media è bassa. Con altri colleghi, però, puntiamo ad una qualità medio-alta. Dobbiamo sfornare sia prodotti di alta qualità, sia un prêt-á-porter, frutto di una lavorazione più semplice e alla portata di tutti, come le bomboniere. In pochi usiamo ancora i colori per porcellana, ossidi metallici che vengono cotti a 750° e resistono al caldo, al freddo ed ai lavaggi. Anche questo è un fattore di alta qualità».
Rispetto a centri come Faenza, Napoli è indietro?
«Parliamo di materiali diversi, a Faenza lavorano le maioliche smaltate, non la porcellana. Cambia il prodotto e lo stile di lavorazione. Certo, Faenza ha promosso l’Associazione Italiana Città della Ceramica. Da lì è nata la legge 188/90 (Tutela della denominazione di origine della ceramica artistica e di qualità, ndr ). A Napoli c’è Capodimonte, ma in Campania ci sono altri sei centri: Vietri, Cerreto Sannita, San Lorenzello, Calitri e Cava dei Tirreni. Siamo la regione con la più grande tradizione ceramica».
Perché non c’è un marchio DOC Porcellana di Capodimonte?
«La legge stabiliva un disciplinare di produzione, ma ha avuto una gestazione di anni. Da noi, il marchio CAT (Ceramica artistica e tradizionale) fu affidato al Comune di Napoli. Era il 2010-11, con il sindaco Rosa Russo Iervolino a fine mandato. Il Comitato per il disciplinare di produzione non si è mai riunito. Il sindaco De Magistris non rinnovò neanche l’iscrizione del Comune all’ Associazione Città della Ceramica.  Poi, dopo pressioni, il Comune si reiscrisse e Il Comitato è stato ricostituito, ma non ha cominciato l’attività. De Magistris è andato via e siamo tornati a zero con la nuova Giunta. Poche settimane fa sono stato contattato- quale componente del Comitato per conto della Claai - dall’assessore alle attività produttive Teresa Armato. Il Comitato dovrà essere rinnovato. Poi la Camera di Commercio dovrà istituire un albo dei ceramisti. C’è molta burocrazia e si è perso molto tempo. Il Comune dovrebbe fare controlli, ci sono aziende totalmente in nero, che fanno concorrenza sleale e abbassano la qualità».
Una scuola per la porcellana a Napoli, c’è: l’Istituto Caselli. Ma basta?
«Non basta. Ma non per limiti della scuola. Le ore di laboratorio che fanno gli studenti sono troppo poche. E gli stage non sono sufficienti. Bisognerebbe dare alle aziende la possibilità di fare dei tirocini utilizzando la decontribuzione. Forse qualcosa si sta cominciando a fare in questa direzione». 
Il gusto per la porcellana resiste? 
«Dipende dalla moda del momento, che è condizionata dall’arredamento. C’è ancora un gusto per il secondo ’900. Innovare il prodotto non è facile, perché la porcellana di Capodimonte deve essere riconoscibile, non basta metterci un marchio. Non dobbiamo perdere la nostra identità. L’interesse, comunque, c’è ancora. Ci sono coppie di sposi che vogliono lampadari in porcellana oltre alle bomboniere». 
Le istituzioni dovrebbero intervenire? 
«Certo, per la promozione, la comunicazione pubblicitaria, l’organizzazione di fiere. Il portale Internet del Comune dovrebbe diventare il portale delle eccellenze produttive della città».
I marchi storici di Capodimonte e della Real Fabbrica Ferdinandea?
«L’unico autorizzato a fregiarsene è l’Istituto Superiore Caselli, che ha il giglio borbonico della Real fabbrica di Capodimonte. Nel marchio CAT hanno fuso i due marchi: chi ottiene il riconoscimento, può utilizzarli. Ma nel mondo il marchio conosciuto è quello con la N e la corona della Real Fabbrica Ferdinandea e la scritta Capodimonte. Era quello della manifatture Mollica, fondata nel 1842. I suoi antenati lavoravano nella Real Fabbrica Ferdinandea».

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