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16 Settembre 2022 - 14:43
Cultura europea. Il percorso di formazione di nobiltà e classi dirigenti passava per Napoli, i siti archeologici e la Sicilia
Il Grand Tour del’ 700 era un grande giro per l’Europa di allora, quella occidentale, per conoscere il mondo. E le famiglie nobili vi mandavano - accompagnata da un tutore e un valletto - anche la prole, per completare la sua istruzione. Da questi tour, che arricchivano anche i rapporti sociali, nasceva una particolare letteratura, quella dei resoconti di viaggi, dei diari e delle lettere, in cui si affermava uno stile più efficacemente descrittivo. Meta del Grand Tour era soprattutto l’Italia. Partivano da Calais molti viaggiatori inglesi ma numerosi erano anche i francesi e i tedeschi. La meta più conosciuta era Roma, luogo santo e famoso fin dal Medio Evo, quando vi si ricercavano le rovine degli antichi monumenti, le Mirabilia Urbis. Marie Henri Beyle, il romanziere conosciuto come Stendhal (1783-1842), affascinato da Napoleone, lo aveva seguito a Parigi, Vienna e Mosca, per poi, adattandosi alla Restaurazione, divenire Console di Ravenna. Da qui, facilmente, raggiungeva Roma, che visitò sei volte. Ce la descrive nelle sue Passeggiate Romane: racconta che dapprima gli era parsa un luogo brutto, triste e disabitato, per poi sentire il fascino della sua grandiosità. Anche la Roma moderna, descritta in pittura da Giovanni Paolo Pannini (1691-1766) e da Giovan Battista Piranesi (1720-1778), conserva la sua monumentalità. Da Roma ci si allungava nel Regno di Napoli e Sicilia, prima di ritornare al Nord, spesso con una deviazione verso l’Adriatico, per visitare Venezia. Ci si fermava più a lungo a Napoli, la vivacissima città che, con Londra e Parigi, era di gran lunga la più popolosa d’Europa. L’antica capitale era già stata visitata da personaggi famosi come Dante Alighieri (1265-1321), che vi si era recato due volte, Francesco Petrarca (1304-1374), Giovanni Boccaccio (1313-1375) e tanti altri. Nel maggio del 1770, vi si recò, giovanissimo, Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), che non vi ebbe il successo sperato. Troppi erano, a Napoli, i geni musicali, dagli Scarlatti a Paisiello, da Francesco Durante a Nicola Porpora, Niccolò Jommelli, Domenico Cimarosa... Napoli era la patria della musica, e anche del teatro, dei poeti, letterati, filosofi, architetti, scultori, pittori. Per le sue strade si potevano incontrare il filosofo Giambattista Vico (1668-1744), il santo Alfonso de’ Liguori (1696-1787) e l’architetto Ferdinando Sanfelice (1675-1748), che si salutavano l’un l’altro. E c’erano artigiani ceramisti, sarti, calzolai, che praticavano arti che fino a non molto tempo fa, qui ancora avevano la loro dignità. La città attirava anche per le sue bellezze naturali: il golfo, i Campi Flegrei e il Vesuvio con le sue eruzioni, che stimolò l’interesse scientifico anche dell’esperto Lord William Douglas Hamilton (1730-1803), ambasciatore del Regno Unito, a lungo di stanza a Napoli. La fama della città fu accresciuta da scoperte straordinarie: nel 1738 quella di Ercolano, nel 1748, quella di Pompei, che suscitarono l’interesse di Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), il quale teorizzò quel Neoclassicismo che avrebbe invaso il mondo. Tanti furono gli artisti che illustrarono Napoli, dipingendo quelle vedute che, con la loro originale prospettiva, resero lo spirito e l’anima della città. Tanti furono i turisti che la decantarono. Tra questi, Johann Wolfgang van Goethe (1749-1832), che la dipinse come un paradiso, “in cui si vive in una sorta di ebbrezza e di oblio di se stessi”, e “ci si sente liberi, perché ognuno segue la propria strada”. Ma Goethe scrisse la sua opera nel 1817, più di 20 anni dopo il suo soggiorno napoletano (1787-88), con la nostalgia di un tempo che non sarebbe più tornato. C’era stata la Rivoluzione e il mondo in cui aveva creduto era svanito nel nulla.
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