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"Carlismo per Napolitani", il nuovo libro di Gianandrea de Antonellis

"Carlismo per Napolitani", il nuovo libro di Gianandrea de Antonellis

L'autore ha inteso «dimostrare ai miei compatrioti la compatibilità del progetto tradizionalista ispanico non solo per la Spagna, bensì – con i dovuti adattamenti alle singole tradizioni locali – per un territorio come quello napolitano».

NAPOLI. «Ai nostri giorni, la parte migliore del tradizionalismo napolitano è confluita nel Carlismo», così Gianandrea de Antonellis spiega perché ha dedicato due anni di studi alla teoria per la quale i napoletani abbiano piena "compatibilità" con "il progetto tradizionalista ispanico",  «a maggior ragione, per un territorio come quello napolitano che tanto a lungo ha condiviso le sorti dei Re Cattolici, avendoli come propri Monarchi». Nasce così il saggio "Carlismo per Napolitani" (162 pagine, 14 euro) che arricchisce la "Collana di Studi Carlisti" editi da Solfanelli-Chieti 2022.

«Se Miguel Ayuso ha scritto un pregevole Carlismo per Ispanoamericani, dimostrando i legami esistenti tra il tradizionalismo ispanico e le terre americane - riflette de Antonellis - perché non investigare gli stretti rapporti che, dall’epoca aragonese fino ai nostri giorni, hanno legato il pensiero tradizionale (e poi tradizionalista) del Regno di Napoli a quello di matrice ispanica?».

È noto come il Carlismo, nome con cui viene indicato il Tradizionalismo ispanico, si distingue dalle altre concezioni tradizionaliste (in realtà conservatrici) per il rifiuto totale di qualsiasi compromesso o alleanza con il liberalismo; per la presenza concreta di un Re legittimo; e per la concezione della legittimità di esercizio (che comporta la subordinazione del Re al diritto naturale) a fianco di quella di origine.

A Napoli è stato da sempre presente un pensiero tradizionalista affine a quello ispanico: le istituzioni del Regno partenopeo si sono infatti sviluppate spontaneamente in modo parallelo a quelle iberiche e nei due secoli di unione personale delle Corone (periodo erroneamente chiamato “viceregno spagnolo” e che più correttamente dovrebbe essere definito come “imperiale ispanico”) l’intero reame visse uno dei suoi momenti più gloriosi.

Gianandrea de Antonellis parte chiedendosi se esista una Hispanidad napolitana: affronta quindi l’antispagnolismo come categoria risorgimentale — quindi di tipo propagandistico — e gli contrappone una reale filo-ispanità napolitana, dimostrata con il ricorso a documenti che dimostrano come, durante il Siglo de Oro, Napoli si sentisse tutt’altro che “soffocata dallo straniero”, come ha millantato la vulgata risorgimentale.

Lungo dall’essere una “sviolinata” al periodo in questione — e non privo di accenni polemici (si veda la divisione del pensiero napoletano in inglese,  francese, spagnolo e… acerrano), il testo ricostruisce le radici filosofiche e politiche del pensiero tradizionalista napolitano, tracciando una “genealogia” (pur sottolineando che non si può parlare di “scuola” in senso stretto) che vede, tra gli altri, a dal cinquecentesco Giovanni Antonio Lanario al Principe di Canosa nell’800, passando per nomi come Giambattista Vico e Nicola Spedalieri. Quindi ripercorre la storia del Carlismo a Napoli, in cui spicca la presenza del Re legittimo Carlo VI (cognato di Ferdinando II), ma continua con l’epopea militare dei generali Borges e Tristany, con la partecipazione di soldati napolitani alla Terza guerra carlista (in primo luogo il Conte di Caserta, fratello di Francesco II), con la nascita di un giornale carlista (“Lo Trovatore”) che nel 1873 pubblica il primo romanzo carlista della letteratura italiana, Ernesto il disingannato, con le visite di Carlo VII, con gli studi di Francisco Elías de Tejada, a cui si deve la rinascita del tradizionalismo napoletano, anche grazie al lavoro di Silvio Vitale, “l’ultimo tradizionalista napoletano”.

Il saggio sarà presto presentato in un evento di cui il Roma informerà i lettori.

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