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Il lager di Fenestrelle: le verità che avremmo il diritto di conoscere

Il lager di Fenestrelle: le verità che avremmo il diritto di conoscere

 La Storia a tesi, ideologica, nasconde e minimizza gli avvenimenti reali del nostro passato (Clicca sul QR Code   e guarda il dibattito tra Gennaro De Crescenzo ed Alessandro Barbero)

Oltre 40.000 soldati napoletani furono rinchiusi nella fortezza di Fenestrelle (Torino)”. Questa didascalia accompagnava una pianta del forte di Fenestrelle nel Museo storico dell’Arma dei Carabinieri, a Roma. La notizia è chiara e, tra l’altro, fu collocata in piena epoca fascista. Da qualche anno quella didascalia è misteriosamente scomparsa. Senza addentrarci troppo in questa sorta di “giallo” storico, va osservato che il dato poggiava su fonti che al tempo dovevano  esistere ancora. La fortezza di Fenestrelle, risalente al ’700 e posta a circa 1.500 metri di altezza, era un forte-prigione dove erano rinchiusi i soldati da punire assegnandoli al corpo dei Cacciatori Franchi. Le condizioni delle celle ordinarie, quelle durissime definite oscure, e il clima facevano molte vittime. Statistiche del tempo attestavano un 18% circa di mortalità. Se pensiamo a quei 40mila soldati dell’Esercito delle Due Sicilie i conti sono drammatici. Negli anni scorsi si è acceso un vivace dibattito tra chi denunciava il trattamento subito dai soldati napoletani e chi, invece, cercava di sminuire la gravità di quegli episodi e di quelle scelte con dati a campione che avrebbero dimostrato le sue tesi riduzioniste e le condizioni ottimali nelle quali si sarebbero trovati quei prigionieri (cfr. ad esempio gli studi di Alessandro Barbero). Ma studi ancora più recenti (cfr. Giuseppe Gangemi, “In punta di baionetta”, Rubettino, 2021), hanno dimostrato che le vittime furono effettivamente troppe. Ciò grazie a studi archivistici che rivelano molte lacune tra la documentazione superstite, che è solo una parte, peraltro, della documentazione prodotta a quel tempo. Furono diverse migliaia le vittime sia a Fenestrelle che nelle altre prigioni-fortezze del Nord Italia. L’unica colpa di decine di migliaia di soldati del re Borbone era quella di non voler accettare un nuovo giuramento. E, al grido di “uno Dio uno re!”, preferivano deportazione, carcere e, spesso, la morte a quello che giudicavano un tradimento, pur sapendo che quel tradimento avrebbe assicurato vite e carriera. È stato un grande e dimenticato esempio di lealtà e di onore e di senso di appartenenza. La loro deportazione, prima dell’emigrazione più o meno volontaria, fu del resto un fenomeno drammatico anche per diverse migliaia di civili che, in applicazione della famigerata Legge Pica del 1863, furono deportati in prigioni anche improvvisate dal Sud al resto dell’Italia (spesso dividendo mariti da mogli e figli) in attesa di processi lunghissimi, frutto magari di denunce anonime e senza alcuna prova. Sono drammatiche verità che abbiamo il diritto e il dovere di conoscere dopo oltre 160 anni di un’unificazione che il Sud ha pagato e paga ancora a caro prezzo.

*presidente del Movimento Neoborbonico

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