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Rudolf Nureyev, il ballerino immenso

Rudolf Nureyev, il ballerino immenso

Nessuno lo ha dimenticato. E come sarebbe stato possibile? Rudolf Nureyev è stato il più grande ballerino del secolo e, se per molti secondo soltanto a Nijnsky, assolutamente unico per aver spaziato nella danza per l’intera vita per interpretazioni singolari e speciali e con le partner più indimenticabili quanto memorabili che, da Margot Fonteyn a Carla Fracci, hanno sommato uomini e donne della storia del balletto del Novecento. Perché lui è stato unico. Segnato da una storia di vita tanto crudele da sembrare esagerata Rudolf Nureyev, nato ad Ufa sugli Urali al confine con l’Asia, fin da piccolo aveva sognato di diventare un ballerino. A niente poterono le tiranniche pressioni del padre militare o le più miti mediazioni materne perché con il naso schiacciato contro i vetri della finestra continuò ad inseguire/sognare un mondo che gli era ignoto! Non abbandonò mai il suo sogno di diventare un ballerino, tant’è che appena gli fu possibile raggiunse Leningrado, oggi Pietroburgo, e “in età avanzata” si presentò alla scuola di ballo dove fu accolto, sia pure con più interrogativi legati agli anni che aveva, ma conquistati dalla spinta emotiva, dalla volontà indomita e da un fisico acrobatico instancabile. Rudolf è andato avanti così conquistando da solo e con fatica estrema quanto poi nella vita ha avuto a piene mani a cominciare dai successi strabilianti mai visti prima della sue esibizioni alle dodici case di un lusso talmente estremo da essere veri e propri musei. Sia a Parigi dove i tanti quadri di Fusely si sommavano a quelli di Guido Reni e ai tanti bronzi maschili, a quella di New York nel mitico Dakota Building, dove vivevano John Lennon, Lauren Bacall e il direttore d’orchestra Serge Celibidache per non sottolineare l’isola dei Galli che Rudolf negli anni in cui ci è vissuto aveva dotato di cose belle. Il 6 gennaio di trenta anni fa Rudolf Nureyev moriva a Parigi dove dalla sua amatissima isola nel mare di Positano era stato portato il 1 settembre precedente. Difficile come pochi, infelice più di tanti, Rudolf ha portato nel mondo la genialità della sua danza ma nella vita privata anche il peso della più grande disperazione. Il suo destino, difficile da sopportare, mai alleviato dai trionfi ottenuti in tutto il mondo, cominciò a Parigi quando con la compagnia russa era arrivato poco più che ventenne per una serie di spettacoli. Dalla Russia dura e reazionaria dalla quale proveniva scopri l’occidente elegante, internazionale, e la cultura dei tanti Musei che poi avidamente avrebbe sempre e ostinatamente frequentato in tutto il mondo per tutta la vita. Non poche volte l’ho visto incaponirsi per entrare all’Accademia a Venezia nel giorno di chiusura e altrettanto vidi farlo a Napoli “dando i numeri” per la violenza della richiesta. Ballerino immenso e mai superato, uomo difficile e infelice come pochi, al momento in cui i russi decisero di proseguire per Londra, lasciando Parigi, e rimandando Nureyev alla “madre Russia”, giovane e ribelle com’era, in un solo attimo, con pochi spiccioli in tasca, nessun idea di quello che sarebbe successo, con un pantaloncino e una camiciola, si buttò nelle braccia di due gendarmi chiedendo asilo politico. In quei pochi istanti all’aeroporto Le Bourget di Parigi il ragazzo russo Rudolf, senza altro sostegno che il suo temperamento si avviò a diventare il più grande interprete della danza del secolo. Da allora tutti i palcoscenici lo osannarono, la grande Margot Fonteyn volle averlo partner e poi grande amico ma in Rudolf la solitudine, la mancanza della sua terra e di sua madre scavarono nel suo carattere una furiosa tempesta di solitudine e dolore. Per decenni non avrebbe mai rivisto la mamma e soltanto la benevolenza di Gorbaciov concesse a Rudolf, dopo più decenni e per pochi giorni, di tornare in Russia dove la madre malata non lo riconobbe e poco dopo morì. Per tutta la vita la solitudine e il disamore dell’unico uomo che Rudolf ha amato, crearono sempre più una violenza che sommata al temperamento, fecero di Nureyev non solo il più grande ballerino del nostro secolo ma anche un uomo di bizzarrie estreme e incontrollabili. Nella pace dell’isola, per cinque anni anche malato e senza confessarlo, il suo sguardo dal colore del mare guardava ostinatamente l’amatissimo mare e onde mosse dal vento, continuando a ricevere come un monarca personalità importanti come il Presidente della Cecoslovacchia Vaclav Havel o l’editore Mondadori, la grande Alicia Alonso e lo scenografo Ezio Frigerio che, commissionata da Rudolf, ideò e realizzò quella che sarebbe stata la tomba in forma di kilim multicolore. Ho passato con lui anni e viaggi, spettacoli e incontri e tutti gli anni dell’isola amata. Tra i tanti ne condivido uno con voi tutti. Alla Casa bianca a Washington, dopo uno dei soliti trionfi in cui, in adorazione esaltata, uomini e donne lo aspettavano e gli toglievano quanto aveva tra berretti, scialli, gli dissi: «Sei felice Rudolf? Non vedi cosa fanno per te?». Due lagrime scivolarono sulle guance e con voce rotta prima di entrare alla Casa bianca aggiunse: «Come può mai essere felice io, se non può veder la mia mama?». Perché dopo decenni di trionfi in tutto il mondo e ricchezze accumulate, il ragazzetto nato sugli Urali che all’aeroporto di Parigi aveva chiesto asilo politico in pochi attimi di una decisione improvvisa aveva lasciato: famiglia, patria, scuola, amici e quanto non avrebbe mai più rivisto per tutta la vita. Dormi tranquillo caro Rudolf, il 6 gennaio scorso sono passati trenta anni della tua uscita di scena ma noi non ti abbiamo dimenticato.

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