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Sisto Riario Sforza, il Cardinale che non si piegò a Garibaldi

Sisto Riario Sforza, il Cardinale che non si piegò a Garibaldi

Fu per 32 anni arcivescovo di Napoli difendendo i diritti della Chiesa senza compromessi con il nuovo potere

Se Napoli vuole stare bene, deve prendersi monsignor Sisto Riario Sforza”. Così rispondeva Papa Gregorio XVI al re Ferdinando II di Borbone che - memore della parte che quella illustre famiglia aveva avuto nei moti rivoluzionari del 1799 - esprimeva perplessità sul desiderio del pontefice di nominare il giovane prelato arcivescovo di Napoli. Nato il 5 dicembre 1810 e avvicinatosi giovanissimo alla vita religiosa, Sisto Riario Sforza ricevette gli ordini minori nel 1826. Trasferitosi a Roma per proseguire gli studi, fu ordinato sacerdote il 15 settembre 1833. In quegli anni si dedicò a opere di apostolato e direzione spirituale, sia nei salotti dell’alta società che tra il popolo. Papa Gregorio XVI lo incaricò di delicate missioni apostoliche e poi lo volle come segretario particolare. Fu consacrato vescovo il 25 maggio 1845 e destinato ad Aversa. Dopo pochi mesi il Papa, vinte le resistenze del re, lo nominò Vescovo metropolita di Napoli, dove fece l’ingresso solenne l’8 dicembre, reggendo poi la diocesi per 32 anni, fino alla morte. Nel 1846 fu nominato cardinale con il titolo presbiteriale di Santa Sabina.  Per mandato di Ferdinando II accolse il Papa Pio IX, che la rivoluzione costrinse a rifugiarsi a Gaeta, e per 18 mesi divenne il suo angelo consolatore nelle residenze reali di Portici e Napoli. La sua fedeltà verso i legittimi sovrani non gli impedì di rivendicare strenuamente i diritti della Chiesa di fronte al giurisdizionalismo borbonico. Dedicò grande impegno a migliorare la qualità del clero, riformando gli studi seminariali, fondando biblioteche e accademie ecclesiastiche. Sul piano pastorale, istituì nuove parrocchie, fronteggiò la secolarizzazione dei costumi, e intensificò predicazioni e missioni popolari. Sempre pronto a soccorrere i bisognosi, anche a spese del suo patrimonio, diede prova di grande abnegazione durante le epidemie di colera del 1854-55 e del 1873 e l’eruzione del Vesuvio del 1861, guadagnandosi la stima generale e la fama di Borromeo redivivo. Il 21 settembre 1860 fu espulso da Napoli per aver sospeso i cappellani garibaldini ed essersi rifiutato di benedire la “crociata patriottica”, e riparò a Roma. Rientrò a Napoli alla fine di novembre, ma non tardò a scontrarsi con la politica ecclesiastica del Governo e fu nuovamente allontanato il 31 luglio 1861. Rimase in esilio cinque anni, continuando da lontano ad esercitare la cura pastorale verso il suo clero e il suo popolo. Potè rientrare a Napoli solo il 6 dicembre 1866. Col declinare delle speranze di restaurazione legittimista, cercò, per la difesa degli interessi religiosi, un difficile modus vivendi con le nuove autorità. Nel novembre 1869, però, si rifiutò di benedire il neonato erede al trono sabaudo, il futuro Vittorio Emanuele III, e di presenziare al Te Deum nella basilica di San Lorenzo. Alla vigilia del secondo Concilio Provinciale del suo episcopato, fu colto da un male che nel giro di un mese lo portò a morte prematura il 29 settembre 1877. Fu universalmente compianto. Il suo corpo, inumato inizialmente nella chiesa del cimitero di Santa Maria del Pianto, a Napoli, fu traslato nel 1927 nella chiesa dei SS. Apostoli. Per il Cardinale Sisto Riario Sforza è in corso il processo di beatificazione, iniziato nel 1927 e ripreso nel 1995. Il 28 giugno 2012 Benedetto XVI ha approvato il decreto della Congregazione delle cause dei Santi che ne ha dichiarato le virtù eroiche attribuendogli il titolo di Venerabile.

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