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A Napoli, il dittatore Garibaldi trovò le porte del Duomo chiuse

A Napoli, il dittatore Garibaldi trovò le porte del Duomo chiuse

Il Cardinale Sisto Riario Sforza si rifiutò di celebrare la funzione religiosa per l’ingresso del Dittatore a Napoli e il rito fu affidato a un frate apostata

Da Salerno, Garibaldi inviò al Cardinale Sisto Riario Sforza, Arcivescovo di Napoli, un messaggio chiedendogli di celebrare con una cerimonia religiosa “la vittoria della causa italiana”. Ma quando entrò a Napoli, il 7 settembre 1860, trovò la porta del Duomo chiusa. “La funzione religiosa - scrive Laura Barletta nel volume curato da Giuseppe Galasso “Napoli” - avrebbe dovuto rappresentare la legittimazione formale del suo potere nella capitale conquistata”. Anche Le porte del complesso dei padri Gerolomini, di fronte al Duomo, furono chiuse in faccia a fra’ Giovanni Pantaleo, il frate minore riformato, poi apostata, che si era arruolato con le camicie rosse, incaricato della celebrazione da Garibaldi. I paramenti  furono presi a forza dalla Guardia nazionale. Il Cardinale non arretrò. Il 22 settembre fu espulso da Garibaldi, “Dittatore in nome di Vittorio Emanuele”. Rientrò a Napoli il 30 novembre, ma il 2 giugno 1861 si rifiutò di celebrare la Festa dello Statuto, festa nazionale del Regno di Sardegna, e il 31 luglio fu espulso per la seconda volta. Potè fare ritorno a Napoli solo cinque anni dopo, accolto da grandi manifestazioni di affetto della popolazione. Senza mai piegarsi al nuovo potere, che giudicava illegittimo, a novembre del 1869 si rifiutò di benedire il neonato Vittorio Emanuele III, al quale era stato dato il titolo di Principe di Napoli e di presenziare al Te Deum nella Basilica di San Lorenzo Maggiore. Anche un suo nemico, come il liberale Ruggiero Bonghi, deputato e ministro del regno d’Italia, riconobbe nel suo libro “Pio IX e il futuro Papa”, che il Cardinale - che pure definiva “mediocre di mente e scarso di studi” - seppe agire “per salvare le parti principali dell’edificio religioso”. 

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